L’ALTRO GIORNO, quando l’ho incrociato alla Stazione Centrale di Milano, mentre saliva sul treno per trascorrere il ponte festivo a Milano Marittima, l’amministratore delegato di Alitalia, Gabriele Del Torchio, appariva molto preoccupato. «Chissà quando arriverà la risposta di Etihad», mi aveva confessato dopo averlo torchiato a dovere. Adesso, con l’avvenuto accordo, sprizza gioia da tutti i pori e, ancor più di lui, il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, nonostante alcune ombre nell’intesa. La nostra compagnia di bandiera ha, infatti, abdicato per neppure 600 milioni, quanto perde (se non più) in meno di un esercizio. È vero, rispetto al progetto iniziale, non c’è più la suddivisione tra “bad company”, con tutti i debiti, da rifilare a noi, e “good company” che si sarebbero pappati gli sceicchi di Abu Dhabi. Però, con il nuovo accordo, parte dei debiti verrà accollata alle banche creditrici che rileveranno pure azioni della compagnia: in altre parole, le passività, in un modo o nell’altro, resteranno tricolori.

E ANCHE il personale eccedente, circa 2.200 addetti. Solo una piccola parte di piloti e personale di terra in esubero, verrà, infatti, riassorbita dalla nuova società mista, mentre la maggioranza dovrà essere, in qualche modo, ricollocata. Dove, considerando i chiari di luna attraversati dall’industria pubblica? Dopo lo sciopero targato Rai, il premier Renzi si metta il cuore in pace: presto sarà costretto ad affrontare cieli tempestosi. Non solo: non essendo stata stabilita, così pare, una clausola di salvaguardia che garantisca, comunque, l’italianità di Alitalia, tra qualche anno, Etihad, che controlla il 49% della nuova società, potrebbe, con qualche azionista, rilevare quel 2% che le manca per conquistare la maggioranza. Per non parlare della perdita di ruolo di Malpensa che verrebbe scavalcata da Fiumicino. Chissà se il milanese ministro Lupi ha valutato questi aspetti: saremmo lieti di conoscere la sua opinione.

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