«UN PARLAMENTO che non funziona, di mediocri, di sbagliati, di arrivisti. Un governo di clientele elettorali, un giornalismo corruttore e livellatore».

L’ABITUALE, quotidiana, dichiarazione affettuosa di Grillo? Sono, invece, parole di un giovane Benito Mussolini che, nel 1909, lancia tutto il suo disprezzo verso le istituzioni. Scriveva ancora il futuro duce: «Perché il socialismo non si corrompa è necessario che non diventi sinonimo di democrazia: il socialismo se non vuole morire, deve avere il coraggio di essere barbaro… Tenersi lungi dal parlamentarismo e rifiutare qualunque compromesso, ogni conciliazione. È necessario che i socialisti si persuadano che l’opera alla quale si votano è grave, terribile, sublime». Provate a sostituire la parola “socialismo” con “grillismo” e il gioco è fatto, un gioco che lascia una certa inquietudine, perché, in fondo, gli autoritarismi si assomigliano tutti. Le accuse che il giovane Benito lanciava, poi, verso gli avversari politici, in quei primi anni del Novecento, erano come uno tsunami: «La Chiesa un enorme cadavere», «il Vaticano un covo d’intolleranza e una banda di ladri», De Gasperi, futuro Presidente del Consiglio, dal 1945 al 1953, «un asino, un bugiardo, un barbaro gorilla». Basta, chiudo qui, perché mi sono spaventato.
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