UN ANNO di renzite acuta. Trecentosessantacinque giorni con il Matteo di Firenze stabilmente, alla faccia delle Cassandre, sulla poltrona di Palazzo Chigi. L’uomo delle grandi promesse, ma anche quello delle decisioni rivoluzionarie, capace di mettere clamorosamente da parte tutta la vecchia guardia della politica, a cominciare da quella del Pd, e sempre pronto a stringere alleanze incestuose, come quella del Patto del Nazareno con Berlusconi, per poi disfarle nello spazio di un mattino. Se vogliamo, un leader pieno di contraddizioni (non era stato lui a sostenere che le riforme dovevano essere condivise?), ma anche un quarantenne pieno di energia e voglia di spaccare il mondo che ha, comunque, agitato le acque della politica italiana dopo anni e anni di morta gora.

Un leader capace di fare e di disfare, e, quindi, come tale, con un bilancio di luci e di ombre. Cominciamo dalle prime. A parte la famosa “una tantum” in busta-paga per i lavoratori meno abbienti che si è rivelata una mossa piuttosto demagogica e assai limitata negli effettivi risultati, Renzi sta ora cavalcando i primi segnali di una ripresa economica favorita dal calo dei prezzi del petrolio, dalle misure varate dalla Bce di Draghi, dal dollaro basso che sta rilanciando le esportazioni del “made in Italy” e, per quanto riguarda la Lombardia, dal terremoto del franco svizzero che rischia di invertire un “trend” storico (eravamo noi che, nei week-end, andavamo nel Canton Ticino a fare acquisti e a riempire il serbatoio della benzina, mentre, ora, sta succedendo il contrario).

IL PREMIER ha anche appena varato il “job act” che dovrebbe rilanciare il lavoro e rompere alcuni totem della vecchia sinistra, troppo legata ai pensionati e ai lavoratori garantiti. Ha, infine, compiuto un piccolo capolavoro ricompattando in un sol colpo il suo partito e sfasciando quel che resta dell’opposizione con l’elevazione di Mattarella al Soglio quirinalizio.

MA L’ELENCO dei “dossier” che l’ex-sindaco di Firenze non ha ancora affrontato nonostante gli impegni è altrettanto lungo. Tanti problemi ancora sul tappeto che confermano la poco democratica impressione di essere un leader troppo solo al comando. Cominciamo dal fronte delle imposte: finora cosa ha realmente portato a casa per dare un taglio al macigno delle tasse? Eppure il carico fiscale che opprime gli italiani e che finisce per favorire l’evasione (come dimostrano anche gli elenchi dei clienti del Belpaese sui conti bancari svizzeri) merita una corsia preferenziale. Lui ha, però, un grandissimo alibi: tutti i suoi predecessori hanno sempre fallito su questo punto. Renzi è, poi, restato quasi fermo sulla riforma della giustizia, un campo troppo delicato dove chi tocca qualcosa, metaforicamente, muore. Senza contare gli incentivi alle imprese per favorire il rilancio dell’occupazione, soprattutto giovanile.

CI SONO, infine, alcune contraddizioni che stridono un po’ sul bilancio di un anno: ad esempio, già quando era stato eletto segretario del Partito Democratico, Matteo aveva dichiarato che avrebbe azzerato tutte le correnti all’interno del suo partito. Oggi proprio lui ne ha, invece, create alcune “ad hoc”: dai renziani-ortodossi, che fanno capo a lui stesso e a Lotti, ai cattorenziani di Del Rio. Per non parlare di tanti altri “stop and go” che mettono, ogni giorno, serie ipoteche sul suo cammino di riformatore. Non solo: poco tempo fa, Renzi dichiarò che i parlamentari transfughi, cioè tutti coloro che avevano cambiato casacca durante la stessa legislatura, avrebbero dovuto dimettersi dalla carica mentre oggi è lui stesso ad imbarcare gli “Scilipoti” di turno per allargare una maggioranza con i numeri risicati dopo il divorzio da Silvio. Mi chiedo: cosa ci riserverà nel secondo anno del suo regno? Magari le elezioni anticipate.
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