«Addio Lugano bella…» è tornata di moda. Solo che, a differenza degli anarchici che lasciavano il Canton Ticino, adesso gli imprenditori lombardi e non solo – per colpa della crisi, ma anche delle tasse e dei tanti intralci burocratici che strozzano la vita di un’azienda – stanno prendendo d’assalto la vicina Svizzera. Quasi metà delle imprese straniere che hanno varcato il confine sono italiane. Tanti i motivi che favoriscono la fuga all’estero degli ex alfieri del “made in Italy”.

Due i dati che mi hanno colpito: 1) nella vicina Confederazione l’Iva è al 7,6% , un terzo di quanto veleggia, oggi, nel Belpaese; 2) chi va a produrre nel Canton Ticino, con una fabbrichetta di almeno 10 operai, può contare su un’esenzione fiscale di cinque anni. È inutile, a questo punto, che il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, si precipiti a Busto Arsizio per convincere gli sciùr Brambilla a non mollare la penisola. Anche l’altra sera ha continuato a ripetere che il governo si impegnerà con tutti i mezzi per impedire ulteriori esodi in Svizzera.

È inutile prendersi in giro: gli italiani, gli industriali in primis, si sono stufati degli impegni non mantenuti perché ora vogliono, giustamente, fatti concreti. Non ha senso, poi, illudere la gente: se Letta non è riuscito neppure a rastrellare il miliardino di euro per evitare, lo scorso 1° ottobre, l’aumento di un punto dell’Iva, che senso ha promettere, ora, mari e monti? Si rendono conto i politici che gli italiani sono arcistufi delle solite parole a cui, poi, non seguono mai i fatti? Ma la grande fuga svizzera deve essere una lezione anche per i soci di Bruxelles. Da anni ci riempiamo la bocca sull’Europa unita, sull’europeismo e sull’immenso privilegio di fare parte dell’esclusivo e ristretto club dell’euro e della Ue, con il risultato che, oggi, torniamo a cercare rifugio nell’énclave ticinese: bentornata Lugano bella…
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