SONO ANDATO A VOTARE a Bologna e sono stato sommerso dalla neve. Una grande nevicata, come quelle di una volta, quando ero ragazzino. Sembrava “Amarcord” di Fellini: la “bianca visitatrice”, come si diceva allora, copriva tutto in un silenzio assordante, tranne i bambini che vociavano in piazza. Scuole chiuse, uffici chiusi, auto sparite: il mondo sembrava prendersi una pausa di riflessione come per meditare sul futuro. La vita si fermava, ma quei momenti di paralisi avevano un aspetto positivo perché consentivano di ripartire con maggior slancio e con più voglia di fare.

Non sono mai andato a votare con la neve. Di solito, le urne si aprono con il solleone o quasi. Questa è la prima volta con il freddo siberiano e i consigli di qualche leader del passato – “non votate, andate al mare!” – sarebbero fuori moda. Ho pensato che la novità fosse un buon presagio per l’Italia decisa a ripartire, dopo il lungo “blackout”, come ai tempi delle grandi nevicate. Forse, la mia, è solo un’illusione, ma, per qualche attimo, sono stato bene, come da bambino