HA IMPIEGATO più di quindici giorni, ma, alla fine, Antonio Acerbo, sub-commissario delegato del Padiglione Italia di Expo, ha maturato la decisione giusta: si è ora autosospeso anche da questo incarico «per poter meglio e più speditamente definire la sua posizione processuale». L’ingegnere era stato indagato per corruzione e turbativa d’asta. Immediatamente, il commissario, Giuseppe Sala, l’aveva allontanato da vice dell’Esposizione, ma, con un compromesso all’italiana, l’aveva, invece, lasciato in sella alla guida del Padiglione che è la nostra vetrina agli occhi del mondo. Il “Giorno” denunciò subito l’assurdità di una scelta parziale e un po’ pasticciata. In effetti, non era certamente il massimo che l’anfitrione del maxi-edificio tricolore fosse, in qualche modo, implicato in un’inchiesta giudiziaria: cosa avrebbero pensato gli osservatori stranieri? Scrivemmo: «La grande kermesse del 2015 è un’occasione irripetibile per Milano e la Lombardia intera; è l’inizio di un nuovo rinascimento ambrosiano: non ci debbono essere macchie in questo cammino di riscossa».

Immaginavamo che il “forfait” di Acerbo avvenisse all’indomani, è arrivato con due settimane di ritardo. È proprio il caso di dire: non è mai troppo tardi. Mi chiedo anche: cosa ne pensa, adesso, Sala? Il 18 settembre, il commissario sostenne la necessità che l’ingegnere restasse al suo posto considerando “le emergenze del momento”. Penso, invece, che, con questi indugi, si siano persi altri 20 giorni. Tocchiamo ferro.

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