Se Thom Yorke non riesce a uscire dal personaggio

Sono gli Atoms for Peace. Ma sembrano i Radiohead. E non è colpa solo della voce e quindi di Thom Yorke. Intendiamoci, “Amok” – il loro primo disco – è bellino. Ma non alza nulla. E forse non è andata come Yorke avrebbe voluto. Cercava (forse) un diversivo dai Radiohead e  alla fine è uscito […]

Sono gli Atoms for Peace. Ma sembrano i Radiohead. E non è colpa solo della voce e quindi di Thom Yorke. Intendiamoci, “Amok” – il loro primo disco – è bellino. Ma non alza nulla. E forse non è andata come Yorke avrebbe voluto. Cercava (forse) un diversivo dai Radiohead e  alla fine è uscito fuori qualcosa che assomiglia moltissimo al suono della band di Oxford che – senza scontentare nessuno – può perfino definirsi genere. Un genere Radiohead. Nato nel 1997 ai tempi dell’uscita di “Ok computer”, quando il rock era ormai un concetto troppo vago per contenere la voglia di osare dei ragazzi di Oxford che volevano affrancarsi dallo sfittico (per loro) e fin troppo ripetitivo (non solo per loro) brit pop. I Radiohead fanno ancora commuovere e conducono sulla via facile, ma sempre desiderata, della nostalgia con l’ascolto di “Creep”, “Fake plastic trees”, “High & dry”. Ma i veri Radiohead sono quelli da “Ok Computer” in poi. E’ quella la linea d’ombra. E anche la data in cui esce quel disco è fondamentale: il rock, sempre in senso lato ma non poi così vago, fa i conti con l’elettronica. L’era digitale, il computer: i Radiohead fanno un disco che racconta questa svolta storica con un pugno di canzoni. E anno dopo anno alzano di un pelino la loro asticella. “Kid A” esageratamente provocatorio, tanto da non riconoscere più la forma canzone, “Amnesiac”, “2+2=5” codificano un genere. Il genere Radiohead appunto. Yorke non si accontenta. Non è il tipo. E cerca sfogo in altri progetti. Questo “Amok” degli Atoms for Peace (un supergruppo con il Red Hot Chili Peppers Flea, Nigel Godrich) è un dischetto che si ascolta bene e che ha un pregio – e qui la questione è prettamente epidermica – riesce a rendere calda una musica glaciale come l’elettronica (seppure a bassa intensità). E il merito è proprio di Thom Yorke. Ma se uno si imbattesse casualmente in questo disco e l’ascoltasse dalla prima alla nona traccia direbbe: “E’ uscito l’ultimo dei Radiohead e nessuno me l’ha detto”. Non è l’ultimo disco dei Radiohead, anche se così sembra. Ed ecco perché Thom Yorke non è riuscito a uscire dal personaggio. Come (magari) avrebbe voluto o solamente desiderato. Le innocenti evasioni sono sempre gradite. Meglio se destabilizzanti per le orecchie.

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