E se Sanremo fosse un antipasto di quello che succederà tra una settimana? Il festival e le elezioni: sono più le analogie che le divergenze. Ha vinto Marco Mengoni, uno uscito dalla scuola dei talent, ma non ha la maggioranza per governare. Ha vinto perché il televoto – che, anche se nella forma è l’elogio della partecipazione diretta, nella sostanza (insomma, per come determina il risultato finale) assomiglia molto al Porcellum – è stato decisivo. Ha vinto Mengoni, ma il premio della Critica, quello per gli arrangiamenti, e il secondo posto sul palco mettono gli Elio e Le Storie Tese in ruolo tutt’altro che subalterno. Televoto a parte, quanto rappresenta Mengoni il paese reale, quello che va nei negozi compra i dischi e va nei club a vedere i concerti? Quanto cozza quella sua vittoria con un Sanremo che si esalta con Antony (ma non era un fenomeno di nicchia), si straesalta con Caetano Veloso e si concede pure nella serata finale una cover di Bon Iver? Forse il paese reale, quello sempre che compra i dischi e va a vedere i concerti, chiedeva altro. Obiezione facile: poteva ottenerlo, sfruttando il televoto. Forse, ma le regole del gioco come nelle elezioni, cui si è fatto cenno sopra, non bastano per garantirsi una totale e piena rappresentanza. Le istanze che arrivano dal basso, anche musicalmente, sono altre e riguardano anche Sanremo. Non c’era, è vero, rispetto alle edizioni precedenti del festival un deficit di rappresentanza, perché Max Gazzè, Almamegretta, Marta sui Tubi, gli Elii e anche Daniele Silvestri erano una bella e convincente serie di alternative. Alla faccia di Anna Oxa che ancora continua a non spiegarsi perché lei no e gli altri sì. Bastava dare un’occhiata ai dischi venduti e alle presenze ai concerti e forse anche la Oxa avrebbe capito che, in questo momento, erano molto più rappresentativi di lei anche al festival di Sanremo. Il risultato finale, però, di questo festival delude. Se voleva rappresentare davvero le istanze del paese reale che ascolta e compra musica, c’è riuscito solo in parte. E forse è proprio questa la nota dolente: mononota, per citare gli Elii, e decisamente monotona per giocare con le parole. Un’altra occasione persa. E’ vero che son sempre e solo canzonette, ma è altrettanto vero che la vittoria di Mengoni non riesce a rappresentare ciò che si muove e si agita in un paese che nel settore musica – e in senso ancora più generale nella cultura – è riuscito a creare competenze, professioni (e quindi anche occupazione) e iniziative decisamente interessanti come il Musicraiser (un progetto di crowdfunding) che vede in prima linea proprio Gulino dei Marta sui Tubi. A questo punto non resta che sperare che tra una settimana le cose vadano meglio.