Il Pd e la musica che (non) gira intorno

Premessa: rispetto e stima per Gianna Nannini. Ulteriore premessa: l'”Inno” della Gianna, come molte delle sue canzoni, è proprio un bel pezzo. Ultima e inevitabile premessa: gli inni in campagna elettorale non spostano poi così troppi voti, ma sono comunque importanti. Detto questo, la scelta del Pd e di Bersani (o del suo spin doctor […]

Premessa: rispetto e stima per Gianna Nannini. Ulteriore premessa: l'”Inno” della Gianna, come molte delle sue canzoni, è proprio un bel pezzo. Ultima e inevitabile premessa: gli inni in campagna elettorale non spostano poi così troppi voti, ma sono comunque importanti. Detto questo, la scelta del Pd e di Bersani (o del suo spin doctor che continua a elogiare la scelta) non sembra molto felice. Le canzoni da campagna elettorale sono (forse) l’ultimo feticismo d’appartenenza a un partito, a una coalizione o a un candidato premier. Devono muovere emozioni, provare a scaldare le piazze, quando il leader in questione non ci riesce. Impresa difficile – piccola digressione politica – in un partito nato come una fusione a freddo e che ancora si interroga sul proprio presunto pantheon. Difficile quindi trovare una canzone che sia rappresentativa. Senza fare l’excursus di tutte le scelte musicali sbagliate delle ultime campagne elettorali, ci si ferma invece all’unica scelta azzeccata: 1996, Ulivo, “La canzone popolare” di Ivano Fossati. Ascoltarla in quella campagna elettorale lì aveva sicuramente il suo valore aggiunto. Le canzoni non fanno la differenza in campagna elettorale, ma aiutano. Obama lo sa. Nella sua prima corsa alla Casa Bianca scelse, rischiando, “Fake Empire” dei National. Un rischio perché, dopo otto anni di Bush, quel pezzo lì con quel titolo lì sembrava quasi una mossa da Tafazzi. E invece, quattro anni dopo, c’erano anche i Repubblicani a contendersi quel pezzo. E Obama allora ha esagerato ha tirato fuori una playlist, pescando molto anche nella scena indie americana, senza dimenticare il Boss, ovviamente. E ricevendo in cambio anche molti endorsement. Che, notoriamente, non sono solo attestazioni di stima. Perché quelli sì spostano voti. La scena musicale italiana è decisamente interessante. E ha sempre guardato con interesse a un’area che avrebbe dovuto essere progressista, ma che è indefinita nelle sue forme e anche nella sua sostanza. Forse il Pd, Bersani, il suo spin doctor e via dicendo, potevano fare una scelta più coraggiosa in questa campagna elettorale. Magari studiando una porzione di questo paese (una scena musicale variegata) che è riuscita a creare in primis cultura sotto forma di musica con album e concerti, ma anche di competenze e professionalità e quindi di occupazione. Non sarebbe stato male  dare un segnale in quella direzione. Magari proprio con la canzone che sarebbe poi diventata un inno. Forse sarebbero arrivati anche gli endorsement. Forse no. Di certo non ci sarebbe stato bisogno di cantare “Mi ricordo di te”. Con tutto il rispetto ancora per il bellissimo pezzo di Gianna Nannini.

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