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Firenze, 3 novembre 2024 – Ricordando Lorenzo Viani, nato a Viareggio il 1° novembre 1882 e morto a Lido di Ostia il 2 novembre 1936, e segnalando la recente nuova edizione a mia cura del romanzo Angiò uomo d’acqua, Firenze, Le Lettere, 2021, e  il bel volume di saggi di Nicoletta Mainardi Al di là del vero. Scritti per Lorenzo Viani, Pisa, Edizioni ETS, 2022.

Accreditato da autorevoli giudizi come uno tra i maggiori rappresentanti del nostro Novecento grafico e pittorico – valga per tutti l’elogio di Ottone Rosai: “È stato il maestro di tutti noi” –, il viareggino Lorenzo Viani risulta sì, oggi, artista noto, ma ancora al di sotto dei suoi effettivi valori. Per non dire, rimasta decisamente più in ombra, della sua attività letteraria, talvolta davvero notevole: un’attività parallela, valutabile al pari della sua arte per via di cultura oltre che di naturale talento, nella sua originale configurazione novecentesca fra dialetto, lingua e tensione espressionistica (e talvolta, soprattutto nelle opere più tarde, con minore incisività, più propriamente manieristica)  che ha prodotto racconti interessanti come quelli de Gli ubriachi e I vàgeri e romanzi di assoluto rilievo come Parigi e Angiò uomo d’acqua.

Del tutto dimenticata e spesso ignota anche ai suoi estimatori più affezionati, la produzione in versi di Viani confluita in massima parte nel volume postumo La polla del pantano, che ci riporta tuttavia ad elementi fondanti della sua poliedrica ed inquieta espressività. Secondo una vianista di vaglia come Nicoletta Mainardi, che a Viani poeta ha dedicato una delle sue numerose, illuminanti letture critiche (ora raccolte in due volumi: Lorenzo Viani. Studi per un ritratto e Viani. Nuovi studi, rispettivamente Franco Cesati e Bandecchi & Vivaldi) è anzi qui rintracciabile «tra effetti manieristici della scrittura e istanze di palingenesi – in base allo slogan attestato dai biografi di Viani “Scriverò un libro di poesie, così tutti mi chiameranno poeta” –, l’estrema forma di sincerità dell’arte».

“Un Viani –  come la Mainardi precisa, contestualizzando sul piano storiografico tra futurismo e tardo dannunzianesimo da Libro segreto – non debitamente assistito nelle proprie urgenze espressive di poeta da una strumentazione tecnica idonea, omologabile al laboratorio del narratore», e ciò nonostante «ampiamente remunerato in questa spiazzante ricerca di sé dal dono insperato che la scrittura in versi more suo pareva offrirgli, luogo deputato del confronto e della sintesi di segno e parola, di linea e colore, di dinamismo e monumentalità”.

E’ così che  anche nei tre componimenti che abbiamo scelto per far conoscere la rara poesia di Viani – testi contrassegnati tutti da esplicito o tendenziale nominalismo, acceso vocabolarismo e scoppiettanti rimbalzi fonico-rimici quasi da filastrocca – , “l’alternanza prevista secondo equilibri variabili di bianchi e di neri, di vuoto e di pieno, in definitiva del nulla e del tutto, escludendo  il sospetto d’ingenuità e d’improvvisazione in chi ad essa affida il suo più antico e mai compiutamente realizzato sogno cartaceo, ritaglia le occasioni di totale godibilità estetica dell’immagine, restituita dal piano del visibile alle compenetrazioni della visione”.

Marco Marchi

Continenti

I pazzi son molto contenti
D’udir la voce d’altri continenti;
Attenti
S’affissano sul grammofono
Afono,
Raucedinoso,
Catarro stizzoso,
Che il vorticoso
Giro a ritroso
Della punta d’acciaio
Tramuta in vivaio
Di gente dal piede di legno,
La voce d’orco,
Il grugnito del porco,
Il lamento del fachiro,
Il lagno del ghiro,
Il sospiro della lupa,
La cupa
Lamentazione dell’upupa.

A quelle voci d’altri continenti,
D’altri pianeti,
I pazzi che sono poeti
Ridiventati ragazzi,
Diventano pazzi
Come i savi colti dall’allegria
Ch’è una pazzia
Ciclotimica.

I pazzi
Ridiventati ragazzi,
Accenciati per la terra,
La grande ruota, il grande grammofono
Di voci varie
Contrarie
Ascoltano la ruotella fatata,
Osservano la punta calamitata,
Perniata
Sul braccio d’acciaio
Colatoio, scuotitoio
Di note
Scorrevoli e sincopate.

I pazzi sorridono alla musica di moda:
Cani col barattolo di latta legato alla coda,
Anatrai,
Abbai,
Eloqui
Di ventriloqui Nord-Americani,
Rutti convulsi,
Conati insulsi,
Flatulenze tracheali,
Assonanze orchestrali,
Tacchettìo di nacchere,
Sghirare di pinzocchere,
Nubili volubili,
Negri che si dinoccolano
E smoccolano
In loro favella,
Qualche fischio di rondinella,
Locomotiva che si conduole al disco,
Pietrisco
Di note trite come la ghiaia;
L’uomo abbaia,
Il cane guattisce le vocali,
Gli orchestrali
Con motivi labiali
O d’altra caverna
Alternano la taverna
Di ronzii verdi setati,
Di strepiti assaettati;
Uomini e donne dalle mani di legno
Danno il segno
Con applausetti alternati
D’essere incantati
Dalla musica di moda,
Che non trasmoda,
Non discende
Alle lungagnate
Melodrammate
Del ballo di una volta.

La femminetta,
Fiammetta,
Labbra di minio,
Capelli d’alluminio,
Occhioni cerchiati,
Dilatati
Dall’estasi,
Sbiscia,
S’arribiscia,
Striscia,Liscia
Con lo scarpino di sugatto
Il tono matto del tappeto
Vanente nel pineto;
L’uomo discreto,
Vestito di nero,
Tacco a pero,
Lindo
Balletta come sulla polpa di tamarindo,
Peritante di slittare
E di trascinare nella caduta
Come una stella cadente (una donna perduta)
Splendente
Di luci astrali
Ignote ai mortali.

I pazzi
Ridiventati ragazzi,
Accenciati per la terra,
Come i parafanghi
D’una automobile ch’abbia dato di cozzo
Nel mozzo
D’un torpedone,
Ascoltano i tanghi
D’altri continenti,
D’altri pianeti,
E veri poeti
S’abbandonano all’allegria,
Che in fondo è una pazzia
Ciclotimica.

L’età

Età
Mèta della metà
Per le donne, per i poeti,
Discreti
Mezzadri del tempo giunti alla mèta.

Donne e poeta
Retrocedono a grande velocità
Verso la mediocrità
Del tempo scorrevole come una trottola.

La nottola
Presagio della morte, che annienta che annulla,
non è l’uccello della donna, del poeta;
La mèta
Sconturba la mente
Che presente
L’algore
Sul gelido cuore.

La loro aspirazione è il ritorno alla culla,
Al vagito,
Al metrito
Brucato di rime,
Al lattime,
Alla movenza endouterina,
Alla vocina
D’agnello;
Il poeta discreto
Vagheggia d’esser feto,
La donna discreta
Vagheggia d’esser feta.

Feta
Fata
E’ questione d’un e senza accento,
Come dal dieci al numero cento
E’ questione d’uno zero.

Zero in condotta
Al poeta e alla sua dotta
Compagna,
Che marciano a tutto vapore
A ritroso dell’ore,
Verso il nulla
Della culla
Che ruzzola, scavalla, rimbomba
Nel silenzio di tomba
Della casa avita
Dov’è morta la vita.

Tramagli tesi alle stelle

Vele gialle crocisegnate,
Donne nere rassegnate,
Fissate
Sul mare.

Sulla barca
Un vecchio navarca,
Viso di terracotta,
Guida il timone, tesa la scotta.

Triangolo di reti distese,
Schelmo, timone, calcese.
Cielo turchino,
Rami di stelle in cammino,
Impigliate
Nelle reti, orate,
Pesci luna,
Lene,
Sul bordo
Sciabordo
Oleastro
Verde astro.
Fredda palpitazione di mare
Sciare,
Arare,
Sarpare.

Lorenzo Viani

(da La polla nel pantano, 1955)

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