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Firenze, 13 febbraio 2020 – Ricordando che oggi ricorre l’anniversario della nascita di Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912).
Anche Antonia Pozzi, al pari di Sylvia Plath e di Amelia Rosselli che abbiamo ricordato nei giorni scorsi, si suicidò: giovanissima, a ventisei anni, nella sua Milano, il 3 dicembre 1938.
Il suicidio dell’autrice di Parole è così rievocato in un articolo di Francesco Errani: “Quando Antonia Pozzi arrivò, la mattina del 2 dicembre 1938, la neve aveva rivestito di bianco la campagna intorno all’abbazia di Chiaravalle. Lasciò la bicicletta e si sedette a pochi metri da una roggia, come in Lombardia chiamano i piccoli corsi d’ acqua che traversano i campi. Aveva con sé un barattolo di pasticche. Le ingoiò con una sola sorsata d’ acqua e poi si sdraiò sulla neve, dove la trovarono ancora viva. Morì poche ore dopo. ‘Polmonite’, fece sapere il padre, un avvocato milanese possessivo ed ambizioso, sposato ad una nobile discendente di Tommaso Grossi, sacerdote di un rito mondano che bandiva il suicidio e che l’ indusse a frugare nei cassetti dove la figlia custodiva le sue carte, a cancellare, tagliare, anche bruciare e poi emendare e ricopiare col proposito di consegnare al secolo un’Antonia Pozzi come voleva che fosse, una poetessa tragica, che cantava la natura e la morte, ma mondata di quelle che riteneva impurità del vivere“.
Ha scritto di Antonia Pozzi, conosciuta negli anni dell’università, Maria Corti: “Il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili“.
E poi c’era, ad assistere e a ripagare con i suoi doni la poetessa, aggiungiamo noi, la poesia: una “voce profonda” con la quale e attraverso la quale esprimersi, alla quale e nella quale, secondo un suo titolo, “confidare”. Ed è grazie alla poesia che oggi ricordiamo, con ammirazione e riconoscenza, Antonia Pozzi.
Marco Marchi
Vicenda d’acque
La mia vita era come una cascata
inarcata nel vuoto;
la mia vita era tutta incoronata
di schiumate e di spruzzi.
Gridava la follia d’inabissarsi
in profondità cieca;
rombava la tortura di donarsi,
in veemente canto,
in offerta ruggente,
al vorace mistero del silenzio.
Ed ora la mia vita è come un lago
scavato nella roccia;
l’urlo della caduta è solo un vago
mormorio, dal profondo.
Oh, lascia ch’io m’allarghi in blandi cerchi
di glauca dolcezza:
lascia ch’io mi riposi dei soverchi
balzi e ch’io taccia, infine:
poi che una culla e un’eco
ho trovate nel vuoto e nel silenzio.
Milano, 28 novembre 1929
Antonia Pozzi
(da Parole)
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