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VEDI I VIDEO “Nemesi” , “Signorina Felicita” letta da Vittorio De Sica , “L’amica di nonna Speranza” letta da Paolo Poli , Agliè Canavese onora Guido Gozzano (1951) , Gozzano secondo Guido Ceronetti , “Le golose” cantata da Margot Firenze, 9 agosto 2022― Ricordando che il 9 agosto 1916 moriva a Torino Guido Gozzano. Guido […]
VEDI I VIDEO “Nemesi” , “Signorina Felicita” letta da Vittorio De Sica , “L’amica di nonna Speranza” letta da Paolo Poli , Agliè Canavese onora Guido Gozzano (1951) , Gozzano secondo Guido Ceronetti , “Le golose” cantata da Margot
Firenze, 9 agosto 2022― Ricordando che il 9 agosto 1916 moriva a Torino Guido Gozzano.
Guido Gozzano è stato un poeta necessario al nostro Novecento, all’evoluzione che la poesia di un secolo ha registrato nell’abbandonare modelli del passato e rivolgersi sperimentalmente al nuovo. Via Gozzano, come è stato a suo tempo dimostrato dagli studi di Edoardo Sanguineti e di altri critici, si giunge a Montale, e il percorso additato e in certi momenti fortemente precorso è quello di una poesia orientata nel senso del prosastico, del colloquiale (e non a caso “I Colloqui” fu il titolo di uno dei maggiori libri del poeta di Aglie’), dei toni abbassati e antieroici.
A differenza del crepuscolarismo di Corazzini, il crepuscolarismo di Gozzano, pur nutrendosi alle stesse fonti simboliste europee, introduce sistematicamente tra le sue modalità espressive l’ironia e attraverso l’ironia la polemica verso gli alti, irraggiungibili e vacui esempi di un dannunzianesimo diventato ormai, più che letteratura, fenomeno di costume. Eccoci così alla bellissima poesia odierna in cui l’autore testualmente dice, sottoponendo a disamina se stesso: “Chi sono? È tanto strano / fra tante cose strambe / un coso con due gambe / detto guidogozzano!”.
Grande Gozzano, oggi per di più letto magnificamente in uno dei video allegati, con la malizia dovuta, da Paolo Poli!
Marco Marchi
Nemesi
Tempo che i sogni umani
volgi sulla tua strada:
la chioma che dirada,
le case dei Titani,
o tu che tutte fai
vane le nostre tempre:
e vano dire sempre
e vano dire mai,
se dunque eternamente
tu fai lo stesso gioco
tu sei una ben poco
persona intelligente!
Cangiare i monti in piani
cangiare i piani in monti,
deviare dalle fonti
antiche i fiumi immani,
cangiar la terra in mare
e il mare in continente:
gran cosa non mi pare
per te, onnipossente!
Giocare con le cellule
al gioco dei cadaveri:
i rospi e le libellule
e rose ed i papaveri
rifare a tuo capriccio:
poi cucinare a strati
i tuoi pasticci andati
e il nuovo tuo pasticcio:
ma, scusa, ci vuol poca
intelligenza! Basta –
di’ non ti pare? – basta
il genio d’una cuoca.
Bada che non ti parlo
per acrimonia mia:
da tempo ho ucciso il tarlo
della malinconia.
Inganno la tristezza
con qualche bella favola.
Il saggio ride. Apprezza
le gioie della tavola
e i libri dei poeti.
La favola divina
m’è come ai nervi inqueti
un getto di morfina,
ma il canto più divino
sarebbe un sogno vano
senza un torace sano
e un ottimo intestino.
Amo le donne un poco –
o bei labbri vermigli! –
Tempo, ma so il tuo gioco:
non ti farò dei figli.
Ah! Se noi tutti fossimo
(Tempo, ma c’è chi crede
di darti ancora prede!)
d’intesa, o amato prossimo,
a non far bimbi (i dardi
d’amor… fasciare e i tirsi
di gioia; – premunirsi
coi debiti riguardi),
certo – se un dio ci dòmini –
n’avrebbe un po’ dispetto;
gli uomini l’han detto:
ma “chi” sono gli uomini?
Chi sono? È tanto strano
fra tante cose strambe
un coso con due gambe
detto guidogozzano!
Bada che non ti parlo
per acrimonia mia:
da tempo ho ucciso il tarlo
della malinconia.
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita:
sento fra le mie dita
la forma del mio cranio.
Rido nell’abbandono:
o Cielo o Terra o Mare,
comincio a dubitare
se sono o se non sono!
Ma ben verrà la cosa
“vera” chiamata Morte:
che giova ansimar forte
per l’erta faticosa?
Né voglio più, né posso.
Più scaltro degli scaltri
dal margine d’un fosso
guardo passare gli altri.
E mi fan pena tutti,
contenti e non contenti,
tutti pur che viventi,
in carnevali e in lutti.
Tempo, non entusiasma
saper che tutto ha il dopo:
o buffo senza scopo
malnato protoplasma
E non l’Uomo Sapiente,
solo, ma se parlassero
la pietra, l’erba, il passero,
sarebbero pel Niente.
Tempo, se dalla guerra
restassi e dall’evolvere
in Acqua, Fuoco, Polvere
questa misera Terra?
E invece, o Vecchio pazzo,
dà fine ai giochi strani!
Sul ciel senza domani
farem l’ultimo razzo.
Sprofonderebbe in cenere
il povero glomerulo
dove tronfieggia il querulo
sciame dell’Uman Genere.
Cesserebbe la trista
vicenda della vita e in sogno.
Certo. Ma che bisogno
c’è mai che il mondo esista?
Guido Gozzano
(da La via del rifugio, 1907)
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