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Firenze, 22 giugno 2017 – Un anno fa, il 22 giugno 2017, moriva il poeta senese Attilio Lolini.
Lo ricordiamo con i suoi versi e con uno scritto a lui dedicato, originariamente pubblicato come presentazione alla cartella d’arte Ore delle repliche di Attilio Lolini e Pietro Paolo Tarasco (San Benedetto del Tronto, Stamperia dell’Arancio, 1994) e riproposto di recente nel mio Ut pictura poesis, Artisti e scrittori a confronto, Franco Cesati Editore.
Una banalizzata nozione di biografia potrebbe tendere di nuovo le sue trappole, attivare i suoi depistaggi. Come, in particolare, coniugare l’incontro tra il mite Tarasco e il sulfureo Lolini? L’interrogativo e le sue essenzializzate (banalizzate, appunto) modalità partecipative esigono l’adozione di punti d’osservazione meno inficiati: Lolini, qui, è i suoi testi, come Tarasco è le sue incisioni.
Così, in Ore delle repliche, il referente in grado di introdurre una proposta poetica andrà eventualmente ricercato nelle passioni intellettuali (specie letterarie e musicali) che animano un esercizio di scrittura in versi; per le immagini che si prestano al corrispettivo, varranno altri entusiasmi, altre fiducie culturali in quello che io chiamerei un allargamento del mondo. È, prendendo atto degli esiti a specchio, davvero mite Tarasco? E la luciferina vis comica che sigla, pubblicamente e in clandestinità, ulteriori documenti del Lolini scrittore, che fine ha fatto?
Ecco che all’identikit orientativo di Tarasco viene in aiuto il modello dell’attenzione, nel senso squisitamente abiografico che ha indotto Mario Luzi a citare, per il lavoro dell’incisore lucano, Cristina Campo; mentre per Lolini, per la sua suite notturna e carceraria, rastremata e leopardianamente rigorosa nel non concedere niente all’illusione, conteranno le risultanze traducibili di un testo raro di Tozzi (“Mi sembra d’aver fatto un lungo viaggio a occhi chiusi; e non ho Visto nessun paese, pur sapendo ch’erano dinanzi a me”, Cose), o quelle ancor più estremistiche e spiazzanti di poco frequentati libretti d’opera mascagnani (“Dolce è la melodia: la voce tocca / il cuor. Ma queste fole, / queste fole d’amore, io non l’intendo più”, Zanetto).
Poter essere sinceri… La pazienza da certosino di Tarasco e quella alla Jabès di Lolini poeta trovano a questo discrimine il significato più implicante e decisivo della loro impavida costituzione di paesaggi alternativi: l’esaltazione della tecnica, in ambedue le esperienze notevolissima, volta, celebrando l’arte anche allorquando essa è il trionfo della menzogna, alla cattura – assorta o perplessa e altrove ironizzata poco importa – dei suoi residui, inarrestabili richiami vitali.
Pasolini, in uno degli articoli confluiti nel bellissimo Descrizioni di descrizioni, sottolineava il disprezzo di Lolini per la poesia, la sua nausea esibita di qualsiasi forma di cultura che si configurasse allora, nel post-sessantottismo di cui Negativo parziale era frutto decentrato e cronologicamente sfalsato, in sospetto di “instrumentum regni, segno primo di ogni integrazione e tradimento”.
L’osservazione continua a persuadere, ampliando semmai la sua gamma di idiosincrasie e, per converso, di appartenenze. I giorni e le notti cambiano e restano gli stessi, come gli alberi cui Tarasco ha presto cominciato a guardare, per poi chiudere gli occhi anche lui, affissarli nelle lastre e rivolgersi a incanti rudemente artigianali, più solidi. I “clamori” smentiti da “timidi sorrisi”? E soltanto “scorie, detriti / ore delle repliche”, senza non dico la sicumera di un efficientistico contributo a “magnifiche sorti” ecc., ma perfino senza l’accertamento a suo modo rassicurante di aver tentato un tempo di spiegare altrimenti la vita, di averla vissuta?
Ma i veri moderni, in definitiva i veri moderni di sempre, hanno rinunciato in partenza ad esprimersi presumendo di aver già capito tutto o quasi. Rappresentano, inscenano, raffigurano, chiedendo proprio all’arte le uniche indicazioni plausibili di percorso: “Scegli tu / per me. Farò il cammino / che m’importa la tua piccola mano!”, con l’esclamativo come si conviene a un giovane e inesperto trovatore da melodramma.
Marco Marchi
Carte da sandwich
Il vento fuori dalle persiane
muta rapidamente voce
ora un canto sinistro
ora un’aria sospirosa
se apri la finestra
cade l’intonaco dai muri
il vento aspira le cicche
del portacenere ricolmo
le cose le persone
badano a trasformarsi
a prendere altre forme
prima di scordarsi.
Aspettiamo l’alba
Aspettiamo l’alba
come avesse
riccioli e parrucche
mettendo giù versi
senza profumo
come fiori d’erborista
la gente sorride
ai giorni allineati
come barattoli
nei supermercati.
Funghi
Per non incontrare
chi va in vacanza
per fuggire
montagna e mare
facciamoci ibernare
non saranno
tempi lunghi
ci scongeleranno
quando escono
i funghi.
Attilio Lolini
(da Notizie dalla necropoli, Einaudi 2005)
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