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Firenze, 1 aprile 2018 – Auguri di Buona Pasqua con versi bellissimi di Carlo Betocchi: versi da lui scritti per augurare la Buona Pasqua a un altro poeta «fratello» in umiltà e grandezza, Giorgio Caproni. E nuova occasione per segnalare che il «caso Betocchi» resta uno scandalo letterario del nostro tempo. Se Firenze non da oggi ha dedicato a Carlo Betocchi un centro studi e un premio che ogni anno si celebra, se a Firenze in perfetto orario sulla data anniversaria ha degnamente ricordato nel 2016 il trentennale della morte del poeta, altrove a un autore tra i massimi che la letteratura italiana novecentesca abbia avuto si tende spesso a negare il riconoscimento che gli spetta: un riconoscimento che dovrebbe risultare unanime e convinto per evidenza di fatti (valga anche la stupenda poesia di oggi, Per Pasqua: auguri a un poeta).
Si continua al contrario a trovarci di fronte ad un poeta dimenticato o nel migliore dei casi sottovalutato e frainteso. Giocano contro Betocchi – lo abbiamo altre volte notato e torniamo a ripeterlo – molti elementi: la sua toscanità un tempo vincente, il suo esibito ancorché discusso cristianesimo, la sua stessa, autorizzata e semplificata, immagine di poeta per dono, per grazia ricevuta, che al contrario abbina ai suoi innati talenti alte dosi di conquistata cultura. Tutto congiura a penalizzare un messaggio meraviglioso, trepidante e inquieto, quanto mai necessario in un mondo che sempre di più si dimentica, assieme alla poesia di Betocchi e alla poesia tout court, dell’uomo.
L’invito, per reagire, è quello a rileggere l’autore di Realtà vince il sogno, L’Estate di San Martino e le Poesie del Sabato, e a rileggerlo in Tutte le poesie edite ora da Garzanti ma pressochè introvabili in libreria secondo la felice immagine-sigla che di lui ci ha lasciato Andrea Zanzotto: «poeta dei tetti, delle tegole» e insieme «poeta del cielo». Betocchi – da poeta «terrestre e celeste», per dirla con un altro grande poeta suo amico, Mario Luzi – è là, sull’arduo discrimine in cui l’«io» e il reale si incontrano, s’interrogano, comunicano. «Dai tetti», per dirla con un titolo betocchiano, secondo quel simbolico luogo deputato della trascendenza a portata d’uomo, linea di confine tra dimensioni che si integrano, di appannaggi umani irrinunciabili e spiritualmente qualificanti.
Auguri di Buona Pasqua con Carlo Betocchi!
Marco Marchi
Per Pasqua: auguri a un poeta
a Giorgio Caproni
Giorgio, quante croci sui monti, quante,
fatte d’un po’ di tutto, di filagne
che inclinate si spaccano, di scarti,
ma croci che respirano nell’aria,
in vetta alle colline, dove i poveri
hanno anch’essi un colore d’azzurro,
la simile cred’io l’ebbe Gesù,
non già di prima scelta, rimediata
tra’ rimasugli d’un antro artigiano,
commessa con cavicchi raccattati,
eppure estrosa, ed alta, ed indomabile
e tentennante com’è la miseria:
ecco la nostra Pasqua onde ti manda
il mio libero cuore quest’auguri
pensando che non è per l’occasione
ma per quella di sempre, che si salva
dalle occasioni, del cuor che non soffre
che del non amare, e sempre sta in croce
con un cartiglio fradicio che in vetta
dice: È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore.
Carlo Betocchi
(da “L’Estate di San Martino”, 1961, in “Tutte le poesie”)
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