Per Tristan 51
Solo Betocchi poteva scrivere versi come questi. Un gioiello (gioiello di povertà, gioiello di carità, gioiello di verità, gioiello di umanità), un capolavoro.
Angela Bottari
Suonano straordinariamente attuali i versi di Bertocchi, ora che abbiamo visto alta e “tentennante” la Croce ricavata dal legno dei balconi infranti sulle nostre spiagge insieme alle vite e i sogni dimigranti di ogni età i e nei luoghi dove regnano la povertà – anche morale – e l’abbandono, come richiesta di perdono e simbolo di possibile riscatto. E proprio oggi cerchiamo attraverso questi versi di recuperare un barlume di speranza, proprio mentre nel mondo continuano a suonare sirene di guerra e ci sembra calpestato e sepolto tra le macerie quel cartiglio che dice “È un poveraccio, questi che vuole ciò che il mondo non vuole, solo amore”.
Angela per Antonella Bottari
“La Croce irraggia luce dal Calvario, / di nuovo posta da Rosmini al sommo: / dice in
salvezza del mondo precario / che un solo Amore è vero e necessario”.
Al tema della croce è dedicata questa poesia di Rebora, scritta per la festa di Cristo Re del 1955, in occasione del centenario della morte di Antonio Rosmini; premessa necessaria ad introdurre il percorso spirituale di Betocchi il quale anche in “Resurrexit” riflette sul mistero pasquale, dato che in un verso si percepisce nettamente il desiderio di rinnovamento insito nel mistero della Pasqua: “Via il peso delle private abitudini!” Il mutamento, invocato come si invoca la pioggia benedetta è desiderio di Grazia da condividere.
La poesia scelta oggi, dedicata a Caproni, reca in sè traccia ineludibile a mio parere, di questo percorso spirituale, ma in diverso modo.
Si apre con uno scenario di croci sul
monte e sulle colline: croci, croci di poveri come quella di Cristo, povero tra i poveri, che ebbe una croce rimediata tra gli scarti di un falegname, ” eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com’è la miseria”.
La precarietà diviene, come in tutto il Novecento, garanzia di reattività e di
grandezza.
Gli auguri non sono di circostanza, ma dettati dal profondo dell’ essere vivi e dal cuore che patisce solo di non amare.
È un messaggio ideale, da poeta a poeta, da anima ad anima, con fede il primo, indirizzato ad un uomo stanco e provato anch’ egli da un senso di sconforto temporale.
Come una carezza affettuosa, mite e meditativa, che oggi è anche per tutti noi.
Auguri professore, e grazie!
framo
“Tu non scrivi le parole … scrivi con le cose, anzi coi corpi vivi e viventi, anche quando appartengono al regno minerale o a quello del puro spirito …”. Queste poche frasi, tratte da una delle tante lettere di Caproni all’amico Carlo, assieme alla stima evidentemente reciproca, raccontano di una vicinanza tra poeti autentici, “naturali” – nel senso di non “voluti” -, poeti senza posa, e del loro umanissimo, comune sentire, teso a non volere “fare versi che non si siano patiti di persona” (citando liberamente Betocchi in una delle tante lettere all’amico Giorgio).
Come non amare un poeta che all’amico poeta scrive: “senza una parola di vita non c’è né inferno né paradiso e senza inferno e paradiso non ci sono poeti”? Evviva Betocchi, evviva Caproni.
Grazie e una serena Pasqua a lei e a tutti noi.
Isola Difederigo
Un invaso d’azzurro, un libero cuore, un poeta per amico, e una croce. È Pasqua! Umile, altissimo Betocchi.
Giacomo Trinci
L’unico “realismo”: quello della poesia. Si potrebbe iniziare così, un discorso sul cammino misterioso, lampeggiante della poesia di Carlo Betocchi: devota alle figure, alle cose del mondo, segni di qualcosa che ne attraversa il folgorante apparire. Ogni volta, nel suono delle parole, nel suo verso, si ritrova l’antica confidenza del divino nel mondo. Come qui, in queste croci fatte “un po’ di tutto”, di materiale povero, come quella ch’ebbe Gesu’… ecco, il mistero del comune, del basso, degli scarti subito lavorato da quella forza che, con Luzi, viene voglia di chiamare, il “giusto della vita”. Dobbiamo ripartire da qui, dalla terrestrità celeste di questa poesia pasquale indirizzata per auguri ad un altro grande fratello in poesia, Giorgio Caproni, per ritrovare un respiro nuovo, adatto a salvare la nostra parte viva, dal capitale morto che ci grava addosso.
Elisabetta Biondi della Sdriscia
Elisabetta Biondi della Sdriscia: Betocchi con penna quotidiana, umile, dimessa – volutamente dimessa – tocca direttamente il cuore “dell’enigma”, il significato profondo della Pasqua, il suo messaggio d’amore inascoltato. E quelle croci sfilacciate, inclinate, povere come la nostra incerta fede, sono tutta la nostra ricchezza e svettano, si stagliano contro l’azzurro del cielo! “Non omnes arbusta iuvant humilesquae myricae”.
Maria Antonietta Rauti
Stupendi i versi “È un poveraccio, questi che vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore.” È un pensiero che nasce da un sentimento vero, quello che solo i Poeti son capaci di far vivere e sopravvivere.
Chiara Scidone
Con questa poesia dedicata a Caproni, il poeta augura una buona pasqua, chiedendo e desiderando nient’altro che amore. Una cosa insolita e strana per tutto il resto del mondo che non comprende questa sua richiesta, perché attaccato alle cose materiali. Un augurio semplice e sincero ma allo stesso tempo anche profondo.
Arianna Capirossi
“Per Pasqua: auguri a un poeta” è un componimento in terzine di endecasillabi sciolti che sviluppa una riflessione sul tempo di Pasqua. Il ritmo è mosso dalla varietà degli endecasillabi, non unicamente piani (alcuni sono sdruccioli e uno è tronco), e dalla presenza di enjambement. Dominano la poesia la parola-chiave “croci” (“croce”) e il campo semantico della povertà: tutto, dal paesaggio circostante alla propria condizione esistenziale, è riportato dallo sguardo del poeta alla vicenda umana di Gesù Cristo. La figura della croce è descritta nella sua materialità e nella sua sublime umiltà: fatta di filagne spaccate e di scarti e, nel contempo, viva e solenne e svettante sulle colline. I suoni duri e ruvidi “r” e “c” caratterizzano la descrizione della croce di Cristo secondo il poeta: “rimediata / tra ‘ rimasugli d’un antro artigiano, / commessa con cavicchi raccattati”, suggerendo un’idea di povertà e di quotidianità subito elevata e resa eccezionale tramite l’aggettivazione in climax: “estrosa, ed alta, ed indomabile”. I suoni scuri “o” ed “a” che si susseguono in questi versi suggeriscono la potenza tonante e infinita del simbolo della croce. Questa forza si cela nell’umile quotidiano e appartiene allo stesso poeta, il quale la condivide con il fraterno amico Caproni. La grandezza della croce che domina la collina sta nella sua semplicità, così come la grandezza del poeta sta nel chiudere il componimento sublimando un termine, “poveraccio”, solitamente impiegato in senso dispregiativo: “poveraccio”, ai tempi di Cristo (così come nei tempi di San Francesco e in quelli odierni), era (è) considerato colui che “vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore”; eppure, proprio la sua convinta povertà e il rispetto altrui erano la sua forza e il suo coraggio, ponendolo controcorrente rispetto alla vile avidità che rende meschini, grevi, violenti. L’eternità del messaggio cristiano è, nel volgere di questi versi, sancita in contrasto con la finitudine di chi non conosce amore.
Duccio Mugnai
Augurio di una vera Pasqua, non d’occasione, come ce ne sono tante, ma di consapevolezza profonda delle sofferenze umane, di cui è fatta la croce di Cristo, degli scarti dei poveri, di cavicchi tentennanti, ma alta ed indomabile come la miseria. A questa vera Pasqua di consapevolezza e responsabilità la poesia di Betocchi richiama, con accorato appello, la profondità lirica, artistica ed umana di Caproni
Antonietta Puri
Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l’essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d’auguri all’amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte “necessaria”, la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell’umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull’ egoismo.Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l’essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d’auguri all’amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte “necessaria”, la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell’umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull’ egoismo.
Maria Antonietta Rauti
Stupendi i versi “È un poveraccio, questi che vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore.” È un pensiero che nasce da un sentimento vero, quello che solo i Poeti son capaci di far vivere e sopravvivere.
Matteo Mazzone
Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di “oggettività d’ammirazione”, in quanto personificatore di un’arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante – almeno in questo testo – una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza.
———