‘Notizie di poesia’. Gennaio, il post del mese (Betocchi ex aequo con i vostri commenti)

Firenze, 30 gennaio 2022 – Vincono ex aequo, per il mese di gennaio 2022, con un’ampia messe di commenti, Carlo Betocchi e Giorgio Caproni, rispettivamente con Auguri a Carlo Betocchi (che qui si ripubblica, come di prassi, con i vostri commenti) e L’amore d’inverno. Giorgio Caproni. Al secondo posto ancora poesia italiana, ma al femminile, con […]

Firenze, 30 gennaio 2022 – Vincono ex aequo, per il mese di gennaio 2022, con un’ampia messe di commenti, Carlo Betocchi e Giorgio Caproni, rispettivamente con Auguri a Carlo Betocchi (che qui si ripubblica, come di prassi, con i vostri commenti) e L’amore d’inverno. Giorgio Caproni. Al secondo posto ancora poesia italiana, ma al femminile, con l’argento assegnato a Cristina Campo con il post La clessidra capovolta. Cristina Campo. Nuovamente un ex aequo invece al terzo gradino del podio, condiviso tra Franco Loi e Camillo Sbarbaro (Come me piase el mund! Franco Loi e Il risveglio di Camillo Sbarbaro).  Ne deriva una cinquina di validissimi autori italiani, con cinque testi di indiscusso rilievo che la vostra sensibilità e la vostra intelligenza di lettori affezionati non hanno esitato ancora una volta a rilevare.

Tra i commenti su Carlo Betocchi che oggi omaggiamo (domani sarà la volta di Caproni) segnaliamo quelli di Giacomo Trinci, Matteo Mazzoni e Tristan51. Rispettivamente: “La veglia, il sonno, il corpo: tre attori della poesia di Betocchi, del suo dantesco viaggio nella natura naturante, nel folto di una creaturalità rivissuta in parola; questo fraseggio inconfondibile, che dalla fervida plasticità metrica di Pascoli, irrompe con nuova freschezza in queste strofe miracolose de ‘Il dormente’, ci dona il risveglio di una poesia antica e nuova: una lingua della poesia che si aprirà, in seguito, in modo sempre più perspicuo, ramificato, vertiginoso, al potente dettato del realismo del simbolo, dopo questo vivo, ventoso realismo della realtà tipico del primo Betocchi. Un padre della poesia: ruvido e dolce, accogliente ed aspro, di fanciullo eterno”; “Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di ‘oggettività d’ammirazione’, in quanto personificatore di un’arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante – almeno in questo testo – una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza”; “Nonostante le magie incantatorie efficienti nel bellissimo testo proposto, già si annuncia in “Altre poesie”, con l’abbandono di una giovinezza rapita, integralmente primitivistca e affascinata, quella che Carlo Betocchi definisce ‘la necessità di verificare la concretezza del suo amore nella concretezza degli oggetti’. La prospettiva, se non arida­mente scientifica, sarà quella di una mistica perfezionante dell’amore di Dio che si apre al mondo, come ad esempio accade in una scrittrice formidabile ‘ansietata’ d’amore come Santa Caterina da Siena: l’efficacia dell’amore quale inveramento ed autenticazione di ogni grazia ricevuta. Ma ‘mettersi nel cuo­re delle cose’ oltre che dei propri fratelli in Cristo sarà anche, per il francescano e creaturale Betocchi, compiere il necessario approfondimento conoscitivo di tutta la realtà che sta attorno a lui, frutto tra frutti di una paternità straordinaria, riconfermata per il momento ta­le, amorosa, perché creatrice”.

Ma particolrmente ampio e bibliograficamente fondato anche il commento di Antonella Bottari: “Echi ermetici insieme a dinamiche pascoliane (anche il De Robertis parlò di Pascoli a proposito di Betocchi), son presenti in questa lettura, estratta da ‘Altre poesie ‘ del 1939, ‘Il dormente’. Questa magnifica lirica, direi di gusto elegiaco, mette in contemporaneità temporale la memoria personale di un sonno vissuto lungo un fiumiciattolo (forse un rimando al fiumiciattolo della vita di verghiana memoria?) con la medesima esperienza vista dall’alto, da altri ignoti occhi. Dunque non sappiamo se egli fosse al momento sveglio o vegliante. Il poeta, insomma, vede se stesso addormentato dall’esterno, attorniato, avviluppato dalla vita cosmica nella quale infine si sfanno le sue forme corporee. Ma è la Luna, quasi onnipresente in quanto propaggine divina, ad ancorare, tramite la sua luce, la visione del poeta che sente proprie le tensioni delle attese e degli eventi. Appena sfiorato dall’ermetismo, secondo il critico Titta Rosa, egli si incanta al richiamo che proviene dalle voci segrete della natura che gli pervengono da una assorta contemplazione interiore; ma è pur vero che il rapporto di Betocchi con la fede non è sempre troppo distante dalle ansie ermetiche, ossia dalla irrisolta maniera di problematizzare la relazione tra l’esistenza puramente fisica della presenza umana e la metafisica attraverso le sue entità e simbologie. Sarà Luzi, con la sua lucida analisi sulla religiosità di Betocchi a darne ‘testimonianza’ con la sua dedica al Nostro, quando giunto quasi al compimento della sua esistenza, scrive: ‘…Abiura io?chi può dirlo/ qual è il giusto compimento di una fede…’. Dunque i versi dell’amico Luzi tentarono, mi sembrerebbe, di giustificare i dubbi religiosi che verosimilmente colsero il Nostro sugli ultimi gradini prima dell’arrivo, il sospirato arrivo celeste. D’altronde, il rapporto di Betocchi con la fede non è sempre troppo distante dalle ansie ermetiche, o metafisiche . ‘Anni di dubbi, di sofferenza e di solitudine, egli arrivò a temere di averla persa, la fede, quella sua gioiosa e spavalda comunione teologale con tutte le creature’ (cfr. Leandro Piantini). E concludo citando ancora De Robertis: per definire in toto la poetica betocchiana, ‘È un idillio scontento con solo le apparenze della felicità'”.

Buona rilettura del bellissimo testo di Betocchi e buona lettura di tutti i vostri commenti.

Marco Marchi

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