Lector
Auguri a Caproni, scultore finissimo di immagini e parole!
Rosalba de Filippis
“Scolpire ” “Lignificare” “Fissarne” ancora “Scolpire” , infine:”dire” il mare. Il materiale forse per eccellenza per Caproni in quanto di una maestosita’ e di una vitalita’sfuggenti. Dire e scolpire il mare: una grande sfida. La’ dove la parola per Caproni tende a fissare, a “dissolvere l’oggetto” , la stessa consistenza materica delle cose. La scrittura aforistica di “Res amissa”, sara’ infatti ‘il punto di approdo di una riflessione sul potere erosivo della parola; riflessione che fa di Caproni uno dei piu’importanti poeti del Novecento.
Maria Grazia Ferraris
L’esordio ci immette nella geografia e nei suoni dei non-luoghi, non-colori, inusuali parole, di Caproni: il mare, la mobilità e la complessità della musica- mentale-: quella della decostruzione.. Il mare come il volto incerto della realtà dileguante e sempre ambigua. Paesaggio costruito? Inventato? La verità- è certo- non si costruisce sulle certezze umane banalizzanti o inquietanti. La materia ha dentro di sé la scintilla di una sconosciuta intelligenza creatrice, e la natura stessa trabocca di mistero, manifestazioni che travalicano ogni tentativo di semplificazione. Mare. Neve di creste blu, irato, delle sue furie e delle sue euforie che si confondono. Una natura stravolta: alghe come nastri taglienti, scogli scolpiti come legni disseccati e presenze lignificate. I frantumi come risposta non solo materiale, fisica, a catastrofi. Versificazione per astrazione, risparmi, sottrazioni- grande: “Non / lo sopporto più il rumore / della storia… Vento / afono…/ Glissando… Sparire / come il giorno che muore / dietro i vetri… / Il mare… / Il mare in luogo della storia… (Albaro).
Duccio Mugnai
La frammentazione sintattica offre dissonanze sonore, che vogliono ricreare l’ambiente marino. Non solo voci o suoni, ma anche i colori e gli odori salini del mondo primigenio, che solo può ricrearci e infondere vitalità. Un linguaggio per “scolpire” una possibilità comunicativa antichissima e sempre nuova. Ci porta la storia e il lavoro, l’avventura e gli amori, ci può ricondurre anche al dialetto, lingua viva, che si nutre di mare, non prodotto di squallida omologazione. Solo il poeta sa regalarci questa emotività consapevole che il mare è “materiale”, “costruzione”, “invenzione”. Anche De André, in “Creuza de ma”, aveva percepito questo esistere.
Arianna Capirossi
Intrigante la musicalità di questo testo, fin dal titolo paronomastico: “Il mare come materiale”. La poesia di Caproni è più efficace di una cartolina, catturando ogni singola espressione, ogni singolo movimento del mare. Mare che non è solo mare: è la natura tutta intera, è pietra (“cordigliera”, “scogliera”), è ghiaccio (“neve”), è materiale malleabile come il vetro (“Filarne il vetro”) o il legno (“lignificare”), e, infine, è uomo (“il volto / del dileguante”). Caproni riesce a descrivere il corpo universale del mare, brulicante di forme di vita (anzi, di forme tout court), come uno scultore del linguaggio, perfettamente consapevole dell’essenza di ogni parola, sia per significante che per significato. Il suono e la materia si fondono in una poesia che, in quanto a forza espressiva, non ha nulla da invidiare al prodotto di un’altra arte, la scultura, qui emulata.
Tania Montini
La poesia di Giorgio Caproni affascina per l’immediata comunicatività e per la tipica musicalità che sa tenere insieme leggerezza ironica e meditata malinconia. Il suo carattere anti-intellettualistico e dei suoi versi poggia sulla ferma convinzione che, solo facendosi comprendere, la parola poetica possa trasformarsi in vero strumento di azione e di conoscenza, caricandosi delle tensioni e delle contraddizioni del suo tempo. Le sue sono parole semplici e a rime convenzionali che diventano il contrassegno di una poetica estremamente originale. Egli ha saputo dare dimostrazione di come, in un tempo di astruse astrazioni concettuali e dello svuotamento di significato del linguaggio comune, la poesia possa farsi parola di inaudita levità e chiarezza, senza rinunciare all’ambizione e alla responsabilità di riflettere sulle inquietudini di un’epoca, come il secondo ‘900 italiano, attraversato da turbolenze e trasformazioni civili spiazzanti.
Paolo Parrini
Caproni fin dai primi scritti si caratterizzò come “poeta minatore” come egli stesso amava definirsi , capace di estrarre gemme lucenti dagli anfratti più cupi dell’anima. E poi la sua levità, la sua leggerezza capace di dire il dolore e la disperazione ma di dirli in termini non drammatici ma in una sorta di “straziata allegria”. Infine “l’economia delle parole” l’uso della parola “netta” , fine e popolare, verde ed elementare. Disse Caproni a proposito del suo far Poesia… ”Il rumore delle parole della loro sovrabbondanza, mi ha stancato presto….”l’ultimo Caproni economizza ancor più sulle parole, usa molto i trattini e i puntini, aumenta le spaziature strofiche, ed il testo assomiglia ad una partitura musicale. “Scolpire il mare…. / Le sue musiche… /… / Scolpire -bluastre- le schegge / delle sue ire…” , versi brevi, interpunzioni, e la luce che giunge sempre alla fine la gemma che Caproni sempre regala …..”. Dire l’indicibile ….. Usando il mare come materiale…”, Una poesia che si conclude con la speranza di poter dire, di riuscire a sconfiggere e superare la distanza tra la parola e la vita
tristan51
Fin dal suo libro del debutto, “Come un’allegoria”, Giorgio Caproni imposta — con il ricorso alle rime, alle assonanze, alle pause, alla disponibilità dei significanti — un lavoro vivo che trarrà dalla vita pesi di sgomento, per il momento indizi, incrinature di un idillio solo in apparenza inoffensivo. Ma tutto avviene e avverrà per traslazione. Creature irriconoscenti, i versi si dimenticheranno del poeta, si serviranno di lui, delle risorse del suo sentire e del suo studio meticoloso e testardo; gli insegneranno sempre di più che con loro si dice per vie traverse, per percorsi microscopici, per esplosioni “au ralenti” imprevedibili; vorranno essere invocati, corteggiati amorevolmente, con assoluta dedizione, o inseguiti con fierezza, come in una battuta di caccia. Ma è proprio così che quei versi esigenti ricompenseranno il poeta, permettendogli di scrivere testi superlativi come questo.
Chiara Scidone
“Scolpire il mare fino a farne il volto” quanto mi piace questa frase, rende proprio l’idea. Caproni scolpisce il mare, la poesia, come una scultura che prende forma. E poi c’è questa metrica spezzata a rappresentanza della personalità del poeta. Meraviglioso. Tanti auguri a Caproni!
Matteo Mazzone
Una voce poetica specchiante ora la spontaneità e l’immediatezza, ora anche la fragilità e la delicatezza di un vissuto doloroso. Una voce così lontana da salotti d’intellettuali, da pomposità magniloquenti, se non viva poesia che si rende consapevole emozione di una più intima lacerazione dolorosa, in cui essa stessa si trova a giacere e titanicamente ad emergere come guizzante alternativa alla morte dei sensi e dei sentimenti. È il poeta giusto per una lettura serale: semplice, emozionante pastore e registratore della condizione umana e delle sue più urgenti problematiche.
framo
“Se al crepuscolo, almeno, / ci fosse, dietro i vetri, il mare… / Amore… / Tremore in trasparenza … / Se almeno questo fosse il rumore del mare… / Non lo sopporto più il rumore della storia… / Vento afono… / Glissando… / Sparire / come il giorno che muore / dietro i vetri… / Il mare… / Il mare in luogo della storia… / Oh, amore”. Un amore sconfinato per quel che vive, muore, sfugge, resta e non resta. Forma inafferrabile, dal dettaglio fino all’essenza, inesausta tensione, scavo, in-finita ricerca, sintesi di levità, potenza e resistenza, spirito … in sostanza … quintessenza … arte e vita… vita e arte … Poesia. Grandissimo Caproni
Elisabetta Biondi della Sdriscia
Frammenti di versi, spruzzi di parole, sonorità evocate e vitree trasparenze, il mare bluastro in tempesta: scolpire con impossibili parole l’immensità del suo fluire, tra scoppi d’ira e bonacce, è scolpire con impossibili parole l’immensità dell’esistenza, tra fortunali e tempeste. Giorgio Caproni attraverso il mare ha scolpito la vita.
Ilaria 77
Caproni, come un artigiano sapiente, di antica memoria, scolpisce le onde, le increspa, le plasma.. construisce la materia e ne cadono le schegge, le mani si muovono, come in un rituale. Come le parole plasmano la poesia creando sensazioni, l’uomo che lavora crea capolavori, con l’anica arte del suo operato. Caproni sempre meraviglioso.
giacomotrinci
La meravigliosa secchezza della tarda stagione poetica di Caproni è la continuazione di quella musica acerba e squisita dei primi versi giovanili, della magrezza colta e casta della fase centrale del “Seme del piangere”; il filo sottile e tenace insieme che lega le stagioni poetiche di Caproni è dato proprio da questa capacità inesauribile di canto e musica che si piega alle diverse modulazioni esistenziali: matericità e metrica magrezza si fondono nel miracolo di un dire di trovadorica precisione, di puntuta ariosità!
Lorenzo Dini
La meravigliosa plasticità del mare caproniano ricorda gli altrettanti limpidi versi di Virgilio: dove sbalzato sullo scudo di Enea è il trepido mare, in cui le singole scaglie di bronzo delle onde riflettono il luccichio dei galeoni sovrastanti. Un gioco di specchi, che sfrutta il materiale bronzeo dello scudo e la plasticità del mare, con preziosa e cromatica raffinatezza. Il mare è tutto rigonfio, quasi in ebollizione, dove le code dei delfini dorati fendono i marosi, in un moto che è un continuum con quello delle onde. Delfini, che Caproni stesso mette in apertura dei “testi marittimi e di circostanza” e che preparano il lettore, in un crescendo di intensità, al mare in fermento di questa poesia. Attenzione tutta cromatica e plastica, quella che Caproni riserva al mare. Del resto, ci aveva già abituato nei versi dell’“Ascensore”, con icastica forza espressiva: “Ma là sentirò alitare / la luce nera del mare / fra le mie ciglia (…)”. Dove queste parole, in rima piana e semplice, interrompono la fraseologia franta, tutta dinamica, tutta dissonanza improvvisa. Così il filo di continuità dell’opera di Caproni, che sa entrare e passare con naturalezza ed eleganza da versi in origine musicali, nei più incisivi del quasi parlato, della sentenza, della maturità.
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