Arianna Capirossi
L’unico poeta che ha saputo rendere i rumori poesia, trasfigurando la realtà quotidiana con la magia della parola. Grazie Palazzeschi!
Antonella Bottari
Fin dall’antichità l’ispirazione poetica è associata all’immagine di una sorgente che sul Parnaso è capace di infondere l’ispirazione in chi beva le sue acque. Palazzeschi, riflettendo sul ruolo del poeta e della poesia nel mondo contemporaneo gioca su una ben più prosaica e concreta fontana, per di più “malata”: qui l’antropomorfizzazione dell’oggetto inanimato aggiunge ulteriore ironia e potenzia l’effetto mimetico dell’immagine. Infatti, la fontana tossisce,singhiozza, come da un rubinetto otturato. Il dettaglio realistico dell’otturazione idraulica si fonde con quello analogico del raffreddore. Ne risulta un’immagine comica e giocosa, con cui Palazzeschi vuole attaccare i modelli ingessati e retorici della poesia tradizionale. Il testo propone una parodia consapevole de ” La pioggia nel pineto” compiuta per via metrica, oltre che attraverso un’allusione diretta dal v. 26 in poi. La poesia non è un canto dispiegato, trionfale, alla maniera dannunziana, ma un singhiozzo rotto e lamentoso. Palazzeschi è un futurista e come tale non può che ironizzare anche sui Crepuscolari che prediligono cantare le cose umili, i sentimenti malinconici, il grigiore della vita quotidiana, come negazione del ruolo sociale e civile della poesia. Lontano dall’ostentazione a volte compiaciuta della propria insignificanza, Egli propone un’idea ludica, gioiosa e anarchica della poesia. Questa poetica è riassunta bene da un testo programmatico intitolato Controdolore, pubblicato da Palazzeschi nel 1914 sulla rivista d’ispirazione futurista «Lacerba»:”…Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride […] Nulla è triste profondamente, tutto è gioioso…”.
Siamo con questi celebri versi alle soglie del comico, al sofferto approdo di una giovinezza “turbata e quasi disperata” in cerca di riscatto. Non è ancora la glorificazione dell’io e dell’io poetico,come esemplarmente nella “Casina di cristallo” e nella poesia-manifesto “E lasciatemi divertire”, ma la direzione è segnata e il traguardo intravisto. Calcare l’onda dell’avanguardiaoffrirà all’ex fanciullino malato un passaporto per la fuoriuscita da sé in un mondo alternativo, secondo una dialettica di esibizione/occultamento dagli equilibri variabili, spinta fino alla propria stessa sparizione, come magnificamente avviene nella fabula di Perelà e nel suo tardo rifacimento manieristico del romanzo “Il Doge”.
La scrittura come importantissimo documento, come raccolta di fragmenta impoetiche, disusate, anticonvenzionali. Essa, dunque, si fa testimonianza di quel lusus-ludus che martellerà come un leitmotiv inceppato tutte le opere romanzesche e poetiche, per presentarci un Palazzeschi sempre pronto allo schizzo, al guizzo, al buffo, al lazzo e parallelamente ad un bilancio esistenziale che, amaramente, cede lentamente il passo alla rassegnazione di una vita che sta per finire. Se Tozzi è il più grande narratore del primo Novecento, se Pasolini è il più grande elegiaco in prosa ed in versi del secondo Novecento, se Zanzotto è il più grande poeta del secondo Novecento, Palazzeschi-Giurlani copre tutto il Novecento come migliore interprete delle sensibilità artistico-stilistiche italiane (almeno le prime), fino ad una personalizzazione propria che fa del gioco, del divertissement un’antifrastica chiave di lettura dell’Italia a lui contemporanea.
Nella letteratura di Palazzeschi l’Io si sdoppia in varie figure di finzione. La letteratura come spazio alternativo per delle maschere (Pirandello). A volte in Palazzeschi è protagonista la gente come in “Cavalli bianchi”; quella gente che pone problemi all’Io, soffoca il suo libero pensiero. Nella “Fontana malata” invece: l’Io autobiografico. Fontana che geme a tal punto, che fa sentir male lo stesso “Io” dell’autore.
Buon compleanno, caro Aldino! Sensibilissimo e profondo osservatore di te stesso e del prossimo, esilarante e trasgressivo artefice di un comico che si regge sul tragico.
L’ampia dotta presentazione di Aldo Palazzeschi e delle problematiche della sua lirica qui proposta è illuminante: … “l’io di chi con le sue parole vorrebbe rivelarsi ed è grammaticalmente assente…, gli stratagemmi sostitutivi e riparatori di un io profondo cui la vita non ha concesso quella realizzazione di potenzialità nascoste o biograficamente vietate , si trasforma in una ritmica ossessiva, volta esprimere un sostanziale bloccaggio dell’io, una costrizione paragonabile alla circolarità e alla chiusura di immagini ricorrenti” .. Ci chiarisce la complessità di questo Autore, apparentemente facile,infantile, giocoso, i cui testi, in primis la notissima Fontana malata, vengono utilizzati dalla scuola per l’acquisizione di scelte stilistiche significative come l’onomatopea, il fonosimbolismo, il neologismo, la teatralizzazione deformante, la trasgressività di matrice futurista…. Certo è che qui ci troviamo di fronte al dilemma paradossale della non scelta tra la funzione trasgressiva e liberatrice del gioco che obbedisce al principio del piacere e la regressione dolorante dell’Autore che rifiuta le norme sociali e letterarie codificate del poeta tradizionale. Desideri irrealizzati e inconsolati: Andate,/mettete/qualcosa/per farla/ finire,/magari…/ magari/morire.
Chiara Scidone
Tanti auguri Aldo Palazzeschi! Il 2 febbraio del 1885 nasceva un grande poeta e scrittore a Firenze. In questa poesia si può subito notare la semplicità delle parole, perché il poeta stesso rifiutava la definizione di poesia scolastica e ne faceva ironia, infatti nelle sue opere ha sempre reso tutto più facile e giocoso. In questa poesia in particolare lo si può notare dal fatto che la fontana in questione sembri un malato col raffreddore tramite la ripetizione di onomatopee. Palazzeschi è sicuramente uno dei miei scrittori preferiti del 900, adoro il modo in cui nelle sue opere, ha sempre cercato varie sfaccettature del suo io, costruendo tantissimi personaggi a proiezione di sé, a partire da Valentino Core di “riflessi” fino alle sorelle materassi. Unico e inimitabile.
Antonietta Puri
Una lirica in cui Palazzeschi impiega con intelligenza e originalità, con l’uso dell’ironia e del grottesco, i moduli e i procedimenti futuristi. Un tema bizzarro, da fiaba (piace anche ai bambini), la novità del metro che, tuttavia fa il verso alla più onomatopeica delle poesie di D’Annunzio, le sue – appunto – stravaganti onomatopee…, ma anche il suo pessimismo e il suo tedio per la banalità del quotidiano. Una piccola fontana, tutta sola soletta nel cortile si è guastata: gocciola, gorgoglia, tossisce, si schiarisce la voce, tace; si riprende, ma come un cavallo bolso perde sempre più forza e vigoria e soffre, si lamenta, piange : è penosa, molesta, seccante…ossessiva. Ed ecco che la sua angoscia si identifica con quella del poeta e con la nostra: Gesuemaria…, ma chiudetela ‘sta benedetta fontana…! Un grande risultato, quello di Palazzeschi, di limpida efficacia, in questa poesia, a un tempo, esilarante e affliggente.
Tania Montini
Dopo aver esordito con uno stile poetico fiabesco e quasi surreale, il Poeta si avvicina al movimento futurista del Marinetti, iniziando a scrivere poesie ironiche e dissacranti.
“La fontana malata” riprende l’originalità delle posizioni culturali e stilistiche del Palazzeschi. Il tema è decisamente legato al crepuscolarismo: tutta la poesia è costruita sull’immagine della fontana, metafora parodica del canto poetico, proponendo un’idea giocosa della poesia. Del resto, egli stesso affermava che “bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange”. Buon compleanno Palazzeschi, poeta dissacrante e giocoso!
Roberta MaestrelliBerti
Parole che gocciolano, rimbalzano, giocano con l’onomatopeia.. e diventano poesia.
Maria Antonietta Rauti
Il testo di Palazzeschi propone una parodia consapevole de La pioggia nel pineto di D’Annunzio, compiuta per via metrica, oltre che attraverso un’allusione diretta dal v. 26 in poi. La poesia non è un canto dispiegato, trionfale, alla maniera dannunziana, ma un singhiozzo rotto e lamentoso. Direi, quasi un procedere a galoppo, costruendo quadri descrittivi, ma soggettivamente spontanei e colorati con tratti “simpatici”… che rendono il poeta vivo e presente tra i versi.
tristan51
A questa altezza del percorso poetico palazzeschiano la disfunzione provoca dolore e insieme comicità: comicità di superamento rispetto all’iniziale, drammatico e drammaticamente bloccante, dato di partenza della diversità.
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