Maria Grazia Ferraris
Importante, notissima e comunque sempre emozionante lirica del primo Ungaretti , che influenzerà l’esperienza letteraria e la poesia futura. Emergono gli aspetti autobiografici, evocati in un momento di riposo dalla guerra, – un riposo provato dall’orrore in una natura devastata, stravolta- , gli ambienti frequentati nella giovinezza rappresentati simbolicamente dai fiumi : l’Isonzo, e l’esperienza di guerra, il Serchio delle sue radici, il Nilo che gli ha dato i natali, la torbida Senna parigina, fino all’esperienza della trincea : un’immersione regressiva e purificatrice, ( il fiume urna cineraria), la ricerca dell’equilibrio, dell’innocenza, dell’armonia nella parola- il veicolo privilegiato di esperienza di autenticità- carica di tensione e di abilità comunicativa, presa di coscienza di sé in presenza della morte e d’altra parte la –costante- presenza della trasgressione, del turbamento, la nostalgia, via indiretta, come un fiore (di tenebre) , nella notte, di accesso all’universale.
Firenze, 3 marzo 2018 – Un ex aequo per il mese febbraio! Vincono alla pari la nostra gara del mese scorso due colossi della poesia italiana novecentesca che rispondono ai nomi di Aldo Palazzeschi e Giuseppe Ungaretti, con due post incentrati su loro testi canonici (e molto famosi) che ci riportano alla fulgida stagione creativa del primonovecento, rispettivamente Palazzeschi e la fontana malata (post che ieri abbiamo ripubblicato corredato dei vostri commenti) e I fiumi di Ungaretti (post che onoreroamo, ripubblicandolo e presentando come al solito i molti commenti raccolti).
Ancora primonovecento al secondo gradino del podio, con l’argento nuovamente ex aequo spartito tra Campana la tenebra e il canto e Nulla di ciò che accade e non ha volto. Anniversario Mario Luzi. Quattro pilastri della nostra letteratura contemporanea, insomma, tra oro e argento! Bronzo infine, internazionale e meritatissimo, per l’incofondibile voce della Plath, con il post Sylvia Plath e il fantasma.
Ed ecco tre fra i vostri commenti unagrettiani quelli di Duccio Mugnai, Matteo Mazzone e Maria Grazia Ferraris. Rispettivamente: “Lirica manifesto della poetica ungarettiana, in cui si sintetizzano tutte le pulsioni esistenziali, le esperienze culturali e letterarie del giovane poeta. E’ nella fluidità dell’acqua che passa, del tempo che trascorre, che tutto l’immaginario e la vera vita vissuta di Ungaretti si confrontano e si mescolano. E’ l’Isonzo, fiume di guerra, ‘di panni sudici di guerra’, che gli ricorda l’immagine del beduino, ‘chinato a ricevere il sole’. E’ una frizione-contraddizione tra acqua e deserto, vita e morte, che fa rimbalzare i suoi ricordi agli altri fiumi della sua vita e della sua famiglia, cioè il Serchio, il Nilo, La Senna. Ognuno è esperienza dominante, che non si conclude in se stessa, ma trova vuota e sola motivazione nel momento contingente dell’Isonzo, della guerra e della precarietà dell’esistere. Così, ad esempio, il Nilo, il quale lo ha visto ‘ardere d’inconsapevolezza nelle estese pianure’, o ‘il torbido’ della Senna sembrano quasi premonizioni del momento attuale, eppur anche un suo possibile superamento e trasfigurazione memoriale”; “La poesia di Ungaretti si fa voce intima e testimonianza assoluta dell’uomo, caricandosi di quella valenza prettamente sacra che ne impedisce ogni annientamento e ogni cancellazione da parte della storia e della memoria: attraverso i retaggi del simbolismo francese, e tramite una propria personale elaborazione dello scritto, essa si fa non solo limpido bozzetto anti-idilliaco sulle tragicità della guerra, ma immette il germe sempre più nuovo della speranza, della rinascita umana che deve, sostanzialmente, concretizzarsi nella riscoperta del dono della vita. Sull’onda della fonte leopardiana e del finto annegamento, la preziosità della vita è materia oscura alla pseudo-razionalità umana finché questa non è messa in grave repentaglio. Alla vitalistica riscoperta della vita, parallelamente Ungaretti porta avanti una personale ricerca sul dolore, sentito ma silenzioso: un filo di ferro rugginoso che corrobora il cuore e l’animo del poeta: prima la guerra, poi il fratello, ancora il figlio, infine la moglie, lasciandolo, come lui stesso dirà a Pasolini in ‘Comizi d’amore’, un ‘povero vecchio’. Solo, dunque”; “Importante, notissima e comunque sempre emozionante lirica del primo Ungaretti , che influenzerà l’esperienza letteraria e la poesia futura. Emergono gli aspetti autobiografici, evocati in un momento di riposo dalla guerra, – un riposo provato dall’orrore in una natura devastata, stravolta – , gli ambienti frequentati nella giovinezza rappresentati simbolicamente dai fiumi : l’Isonzo, e l’esperienza di guerra, il Serchio delle sue radici, il Nilo che gli ha dato i natali, la torbida Senna parigina, fino all’esperienza della trincea : un’immersione regressiva e purificatrice, (il fiume urna cineraria), la ricerca dell’equilibrio, dell’innocenza, dell’armonia nella parola- il veicolo privilegiato di esperienza di autenticità- carica di tensione e di abilità comunicativa, presa di coscienza di sé in presenza della morte e d’altra parte la – costante – presenza della trasgressione, del turbamento, la nostalgia, via indiretta, come un fiore (di tenebre) , nella notte, di accesso all’universale”.
Buona giornata con Giuseppe Ungaretti e con le sue strepitose letture dei propri testi!
Marco Marchi
I fiumi di Ungaretti
VEDI I VIDEO Giuseppe Ungaretti legge “I fiumi” , Ungaretti si racconta , Ungaretti intervistato da Pasolini (da “Comizi d’amore”, 1965) , “Inno alla morte” letto da poeta
Firenze, 8 febbraio 2018 – Ricordando che l’8 febbraio 1888 nasceva ad Alessandria d’Egitto Giuseppe Ungaretti.
Ungaretti ha vissuto da protagonista un secolo, di quel secolo nutrendosi e a quel secolo facendo scuola. Vita d’un uomo, appunto: siamo con un titolo più di altri ritenuto valevole, riassuntivo di esiti e prima ancora di una disposizione, al nodo cruciale in cui le ragioni della biografia e quelle della produzione letteraria, la vita e la poesia, si affrontano, cercano i loro punti di contatto e insieme demarcano autonomie, siglano competenze.
In realtà paesaggi e scenari biografici presto in Ungaretti si confondono, si annullano e si trasfigurano. La trincea sarà tra poco, per lui proveniente da Alessandria d’Egitto desideroso di appartenenze e patrie ritrovate, un nuovo deserto. Nasce la poesia di Ungaretti, ed anche la partecipazione del poeta alla Grande Guerra reagisce di comporto, nel senso di un’incidenza molto personalizzata di eventi, da «vita d’un uomo».
Il poeta, l’«uomo di pena», le parole, l’armonia. Il «processo di raccoglimento che poté essere aiutato dalla vicenda umana della guerra» presupposto con evidente cautela da un critico acuto come Gianfranco Contini risulta già impostato, se Parigi – laddove una strumentazione storicamente e ibridamente si forma collegando a ritroso Apollinaire a Mallarmé e Mallarmé a Guérin – si è ridotta a «grigi inenarrabili» e anzi, ancora citando, a «sfumature all’infinito smorzate del colore».
Analogamene la nebbia di Milano, dove ad esempio Ungaretti frequenta la casa di un pittore d’avanguardia come Carrà, si è risolta in un «sentimento d’infinito», ed ogni ambiente esterno ha sedato in partenza rivolte riconducibili ad altri mezzi e ad altre impostazioni, profilando invece, preminenti, i confini dell’io per una cattura in parole della libertà, dell’invocata armonia, dell’innocenza.
La guerra rivela ad Ungaretti – «improvvisamente», come il poeta sottolinea – il linguaggio. E tuttavia il carattere traumatico, drammatico e liberatorio di una condizione registrata ha maturato non da ora risorse e possibilità, ha avuto e avrà bisogno di cultura per ritrovarsi così stabilito ed espressivamente soddisfatto. Perfino il topos romantico-simbolista dell’étranger, aggiornabile e personalizzabile in quello dello «spatriato», si è definito tramite Guérin e Baudelaire, tramite Leopardi: i poeti.
Purificata, ricondotta al suo valore fondante e incorruttibile di monade interna, la parola essenziale cui Ungaretti perviene torna così ad essere il primo atomo di un discorso di rottura senza confronti, ma anche di una conquista ulteriore, imprevista e più ampia: una ricomposizione già agisce all’interno della raccolta, specificandosi in metri sotterranei, sia pure contrastati da una pronuncia rilevata ed isolante di vocaboli, sillabe e suoni.
Si annuncia la ricomposizione del «lungo dissidio» fra tradizione e invenzione, ordine e avventura, che sarà valida fino agli anni estremi. La parola ungarettiana si immerge nel verso, lo ricompone e lo ritrova, tenta un nuovo canto. E sarà l’endecasillabo che suggella Preghiera a gettare un ponte – complice il variantismo, in Ungaretti antistoricamente costitutivo e sistematico – tra L’Allegria e Sentimento del Tempo: «Quando il mio peso mi sarà leggero / il naufragio concedimi Signore / di quel giovane giorno al primo grido».
Marco Marchi
I fiumi
Cotici il 16 agosto 1916
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattro ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle distese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora chè notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
Giuseppe Ungaretti
(da L’Allegria)
I VOSTRI COMMENTI
Dal fiume metafora di vita ai fiumi che hanno scandito la geografia molteplice della sua esistenza: ne “I fiumi” Ungaretti ci parla della guerra, della morte e insieme dell’uomo e della vita, in tutta la sua complessità con parole essenziali, asciutte, rastremate di cui cogliamo l’assoluta necessità
E’ sera. E’ un momento di tregua sul fronte carsico, di cui persino le nubi che passano quiete sulla luna sembrano essere consapevoli. Il poeta e soldato Ungaretti, appoggiato al tronco di un albero “mutilato” dalle granate – e quale aggettivo migliore poteva scegliere nel raccontare di una guerra che fu la madre delle mutilazioni? – rivive il momento in cui, quel mattino stesso, spossato dalla trincea, arso dal sole cocente dell’estate, aveva avuto l’occasione preziosa come una reliquia di immergersi nelle fresche acque dell’Isonzo, uscendone rinnovato, confortato e rinvigorito nel corpo e nell’anima e rammenta come il fluire del fiume si mescolasse col fluire dei suoi pensieri e dei suoi ricordi, tanto che l’acqua di altri fiumi ,aveva preso a prestito il letto dell’ Isonzo, per riportagli alla memoria e alla coscienza i momenti più importanti della sua vita… Ed ecco il flusso del Serchio materializzarsi per rammentargli i suoi antenati; ecco il Nilo, che lo vide un tempo nascere e crescere; ed ecco la Senna a riportargli alla memoria Parigi, dove il poeta ebbe la ventura di conoscersi per quello che era, nel bene e nel male. Ma solo presso l’Isonzo, con l’esperienza devastante della guerra, egli aveva sentito profondamente come fosse una minuscola parte dell’universo, consapevole di dovere ubbidire alle sue leggi. La nostalgia è tanta e,ora che si è fatta notte, il ricordo del passato e il pensiero fosco della battaglia che continuerà a infuriare gli appare come un fiore tenebroso. Una delle più belle poesia di Ungaretti, una lirica di guerra, contro il paesaggio desolato e pietroso del Carso, improntata al ricordo nostalgico, a una profonda riflessione sulla propria vita e da una grande verità umana.
Arianna Capirossi
Questo bellissimo testo esprime il bisogno di ritrovarsi in armonia con la natura nonostante il contesto feroce. Una biografia scandita dal paesaggio fluviale dei luoghi vissuti: fiumi che scorrono come il tempo, accompagnando il poeta stagione dopo stagione, nell’ingenuità della sua infanzia, nelle sue esperienze giovanili, nella sua sofferenza di soldato.
Avere parola, parola originale: questo è stato per Ungaretti il battesimo della poesia celebrato nell’Isonzo, lì dove i fiumi della sua vita confondono per sempre le loro acque. Come scrive in “Ungaretti commenta Ungaretti” (1963): “Finalmente mi avviene in guerra di avere una carta d’identità: i segni che aiuteranno a riconoscermi da quel momento e di cui in quel momento prendo conoscenza come i miei ‘segni’: sono fiumi, sono i fiumi che mi hanno formato. Questa è una poesia che tutti conoscono ormai, è la più celebre delle mie poesie: è la poesia dove so finalmente in un modo preciso che sono un lucchese, e che sono anche un uomo sorto ai limiti del deserto e lungo il Nilo. E so anche che se non ci fosse stata Parigi, non avrei avuto parola; e so anche che se non ci fosse stato l’Isonzo non avrei avuto parola originale”.
Duccio Mugnai
Lirica manifesto della poetica ungarettiana, in cui si sintetizzano tutte le pulsioni esistenziali, le esperienze culturali e letterarie del giovane poeta. E’ nella fluidità dell’acqua che passa, del tempo che trascorre, che tutto l’immaginario e la vera vita vissuta di Ungaretti si confrontano e si mescolano. E’ l’Isonzo, fiume di guerra, “di panni sudici di guerra”, che gli ricorda l’immagine del beduino, “chinato a ricevere il sole”. E’ una frizione-contraddizione tra acqua e deserto, vita e morte, che fa rimbalzare i suoi ricordi agli altri fiumi della sua vita e della sua famiglia, cioè il Serchio, il Nilo, La Senna. Ognuno è esperienza dominante, che non si conclude in se stessa, ma trova vuota e sola motivazione nel momento contingente dell’Isonzo, della guerra e della precarietà dell’esistere. Così, ad esempio, il Nilo, il quale lo ha visto “ardere d’inconsapevolezza nelle estese pianure”, o “il torbido” della Senna sembrano quasi premonizioni del momento attuale, eppur anche un suo possibile superamento e trasfigurazione memoriale.
Antonella Bottari
Raccogliamo e accogliamo in noi, attraverso i versi di Ungaretti, il segno profondo della complessità di rapporto tra vita e morte sapientemente enucleati ed esplicati attraverso simboli e metafore. Primo tra i tanti l’albero anrtopomorfo evocante la simbolizzazione della sofferenza del soldato e dell’uomo. Se schiettamente vitali saranno la venerazione del sole, la trasformazione in una fibra dell’universo, in una rara felicità, intimamente ambivalenti e misteriosi risulteranno altri segni; l’urna d’acqua, simbolo di valorizzazione e innalzamento, perfino sacrale, dell’esperienza vissuta, e la successiva reliquia; ma come non raccogliere anche la valenza funebre che ricade sul soggetto? Come non ammettere la luttuosa polisemicità del conclusivo “ho riposato”? L’esperienza vitale dell’immersione è anche un’esperienza di morte; così come, dietro il modo idiomatico “le mie quattr’ossa”, è grazie allo sprofondamento mortuario dell’io che diviene possibile l’azione levigatrice, felicemente omologante, del fiume. Inabissato nella condizione mineralizzata e ctonia, il soggetto può esperire con felicità anziché con angoscia il moto di scorrimento fluviale,nella vita non smaterializzata e corporea, perturbante espressione dello scorrere temporale. Ne consegue la figura dell’acrobata che sa rinascere funambolicamente privo dei gravami della concretezza: è un io capace di non essere più chiuso nel limite spazio-temporale dell’identità soggettiva: capace perciò, camminando sull’acqua, di congiungere vita e morte in un equilibrio solitamente impossibile.
Antonella Bottari 2
Sul piano psicologico,il segmento che forma la vita dell’individuo è percorso oltre la sua fine e prima del suo inizio. La disponibilità alla retrocessione temporale è confermata, dal riconoscimento della propria presenza nel padre e nella madre e, addirittura, nella sua gente.
Il motivo del contenimento e dell’abbraccio che apre alla regressione verrà poi ribadito nel rimando metaforico alle “mani” della corrente fluviale, che penetrando nell’io gli regalano la “rara felicità”, contrapposta all’immagine iniziale del fante raccolto in una “dolina” simile a un “circo” e “abbandonato”.
Una medesima immagine circolare e protetta chiude il testo, dove la “corolla/ di tenebre” pare fondere la fertile promessa di ciò che sta all’interno di una protezione e la scoperta della perdita e dell’incertezza. In ogni caso il cerchio è in questo componimento tanto il fine da raggiungere, quale stabilità e presentificazione illimitata del lontano nel tempo e nello spazio, quanto il mezzo saggiato per raggiungerlo, quale abbraccio dentro cui l’io tenta di dare un senso stabile alla propria vicenda o trova, con la regressione, un momentaneo equilibrio di pienezza.
Matteo Mazzone
La poesia di Ungaretti si fa voce intima e testimonianza assoluta dell’uomo, caricandosi di quella valenza prettamente sacra che ne impedisce ogni annientamento e ogni cancellazione da parte della storia e della memoria: attraverso i retaggi del simbolismo francese, e tramite una propria personale elaborazione dello scritto, essa si fa non solo limpido bozzetto anti-idilliaco sulle tragicità della guerra, ma immette il germe sempre più nuovo della speranza, della rinascita umana che deve, sostanzialmente, concretizzarsi nella riscoperta del dono della vita. Sull’onda della fonte leopardiana e del finto annegamento, la preziosità della vita è materia oscura alla pseudo-razionalità umana finché questa non è messa in grave repentaglio. Alla vitalistica riscoperta della vita, parallelamente Ungaretti porta avanti una personale ricerca sul dolore, sentito ma silenzioso: un filo di ferro rugginoso che corrobora il cuore e l’animo del poeta: prima la guerra, poi il fratello, ancora il figlio, infine la moglie, lasciandolo, come lui stesso dirà a Pasolini in “Comizi d’amore”, un “povero vecchio”. Solo, dunque.
Chiara Scidone
Sicuramente una poesia che raccoglie tutta l’essenza di Ungaretti. Il poeta, in pausa dalla guerra, si prende un pomeriggio tutto per sé decidendo di bagnarsi nel fiume Isonzo.Così, egli inizia a sentirsi in armonia con la natura che lo circonda e la sua mente comincia a vagare, ricordando tutti i fiumi che hanno fatto parte della sua vita. Una poesia nostalgica, autobiografica, che rivisita la vita del poeta passo per passo. Un bellissimo viaggio tra i ricordi felici a contrasto con la tragedia della sua situazione attuale.
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