Firenze, 30 aprile 2022 – E’ con gioia che oggi festeggiamo Carlo Betocchi, perché è lui il vincitore di questa nostra gara di aprile con il post Pasqua con Carlo Betocchi! Lo accompagnano sul podio, posizionandosi in coppia, vincitori ex aequo, al secondo e al terzo gradino, altri eccellenti poeti: poeti del Novccento italiano e non solo, come vedremo. Medaglia d’argento condivisa tra Esenin e Zanzotto, rispettivamente con Esenin e l’uomo nero e La Pasqua di Andrea Zanzotto, bronzo, ancora alla pari, spartito fra Gatto, la Guidacci e Pascoli, rispettivamente con 25 Aprile con Alfonso Gatto, Essere una farfalla. Margherita Guidacci e Anniversario Giovanni Pascoli. Come al solito, niente di più articolato e armonico –  in nome della poesia e delle sue attestazioni passate al vaglio del vostro giudizio durante il mese di aprile – si sarebbe potuto pretendere. E riconosciamo pure che la poesia e gli uomini attraverso i quali la poesia ci parla ci hanno fatto grande compagnia e ci hanno comunicato un’intima, profonda speranza in questo drammaticamente difficile per ciascuno di noi e per il mondo intero: dopo la pandemia, che ancora non ci lascia, la guerra.

Tra i numerosissimi commenti dedicati a Betocchi e al suo post pasquale segnaliamo quelli di Giacomo Trinci, Matteo Mazzone e Arianna Capirossi. Eccoli, nell’ordine: “L’unico “realismo”: quello della poesia. Si potrebbe iniziare così, un discorso sul cammino misterioso, lampeggiante della poesia di Carlo Betocchi: devota alle figure, alle cose del mondo, segni di qualcosa che ne attraversa il folgorante apparire. Ogni volta, nel suono delle parole, nel suo verso, si ritrova l’antica confidenza del divino nel mondo. Come qui, in queste croci fatte “un po’ di tutto”, di materiale povero, come quella ch’ebbe Gesu’… ecco, il mistero del comune, del basso, degli scarti subito lavorato da quella forza che, con Luzi, viene voglia di chiamare, il “giusto della vita”. Dobbiamo ripartire da qui, dalla terrestrità celeste di questa poesia pasquale indirizzata per auguri ad un altro grande fratello in poesia, Giorgio Caproni, per ritrovare un respiro nuovo, adatto a salvare la nostra parte viva, dal capitale morto che ci grava addosso”; “Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di ‘oggettività d’ammirazione’, in quanto personificatore di un’arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante – almeno in questo testo – una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza”; “‘Per Pasqua: auguri a un poeta’ è un componimento in terzine di endecasillabi sciolti che sviluppa una riflessione sul tempo di Pasqua. Il ritmo è mosso dalla varietà degli endecasillabi, non unicamente piani (alcuni sono sdruccioli e uno è tronco), e dalla presenza di enjambement. Dominano la poesia la parola-chiave ‘croci’ (‘croce’) e il campo semantico della povertà: tutto, dal paesaggio circostante alla propria condizione esistenziale, è riportato dallo sguardo del poeta alla vicenda umana di Gesù Cristo. La figura della croce è descritta nella sua materialità e nella sua sublime umiltà: fatta di filagne spaccate e di scarti e, nel contempo, viva e solenne e svettante sulle colline. I suoni duri e ruvidi ‘r’ e ‘c’ caratterizzano la descrizione della croce di Cristo secondo il poeta: ‘rimediata / tra’ rimasugli d’un antro artigiano, / commessa con cavicchi raccattati’, suggerendo un’idea di povertà e di quotidianità subito elevata e resa eccezionale tramite l’aggettivazione in climax: ‘estrosa, ed alta, ed indomabile’. I suoni scuri ‘o’ ed ‘a’ che si susseguono in questi versi suggeriscono la potenza tonante e infinita del simbolo della croce. Questa forza si cela nell’umile quotidiano e appartiene allo stesso poeta, il quale la condivide con il fraterno amico Caproni. La grandezza della croce che domina la collina sta nella sua semplicità, così come la grandezza del poeta sta nel chiudere il componimento sublimando un termine, ‘poveraccio’, solitamente impiegato in senso dispregiativo: ‘poveraccio’, ai tempi di Cristo (così come nei tempi di San Francesco e in quelli odierni), era (è) considerato colui che ‘vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore’; eppure, proprio la sua convinta povertà e il rispetto altrui erano la sua forza e il suo coraggio, ponendolo controcorrente rispetto alla vile avidità che rende meschini, grevi, violenti. L’eternità del messaggio cristiano è, nel volgere di questi versi, sancita in contrasto con la finitudine di chi non conosce amore.”.

Ma belli e segnalabili anche i commenti di framo, Antonella Bottari e Antonietta Puri. Rispettivamente:  “Tu non scrivi le parole… scrivi con le cose, anzi coi corpi vivi e viventi, anche quando appartengono al regno minerale o a quello del puro spirito…’. Queste poche frasi, tratte da una delle tante lettere di Caproni all’amico Carlo, assieme alla stima evidentemente reciproca, raccontano di una vicinanza tra poeti autentici, ‘naturali’ – nel senso di non ‘voluti’ -, poeti senza posa, e del loro umanissimo, comune sentire, teso a non volere ‘fare versi che non si siano patiti di persona’ (citando liberamente Betocchi in una delle tante lettere all’amico Giorgio). Come non amare un poeta che all’amico poeta scrive: ‘senza una parola di vita non c’è né inferno né paradiso e senza inferno e paradiso non ci sono poeti’? Evviva Betocchi, evviva Caproni”; “La Croce, la Pasqua e Betocchi. ‘La Croce irraggia luce dal Calvario, / di nuovo posta da Rosmini al sommo: / dice in salvezza del mondo precario / che un solo Amore è vero e necessario’. Al tema della croce è dedicata questa poesia di Rebora, scritta per la festa di Cristo Re del 1955, in occasione del centenario della morte di Antonio Rosmini; premessa necessaria ad introdurre il percorso spirituale di Betocchi il quale anche in “Resurrexit” riflette sul mistero pasquale, dato che in un verso si percepisce nettamente il desiderio di rinnovamento insito nel mistero della Pasqua: ‘Via il peso delle private abitudini!’. Il mutamento, invocato come si invoca la pioggia benedetta è desiderio di Grazia da condividere. La poesia scelta oggi, dedicata a Caproni, reca in sé traccia ineludibile, a mio parere, di questo percorso spirituale, ma in diverso modo. Si apre con uno scenario di croci sul monte e sulle colline: croci, croci di poveri come quella di Cristo, povero tra i poveri, che ebbe una croce rimediata tra gli scarti di un falegname, ‘eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com’è la miseria’. La precarietà diviene, come in tutto il Novecento, garanzia di reattività e di grandezza. Gli auguri non sono di circostanza, ma dettati dal profondo dell’ essere vivi e dal cuore che patisce solo di non amare. È un messaggio ideale, da poeta a poeta, da anima ad anima, con fede il primo, indirizzato ad un uomo stanco e provato anch’egli da un senso di sconforto temporale. Come una carezza affettuosa, mite e meditativa, che oggi è anche per tutti noi”; “Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l’essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d’auguri all’amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che, carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte necessaria, la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell’umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull’egoismo”.

Buona conclusione di mese, dunque, con i nostri poeti d’aprile, e buon maggio alle porte, ancora all’insegna della poesia: quella poesia che sempre, ma soprattutto nei momenti che tragicamente ci assediano e ci confondono, ci aiuta a vivere!

Marco Marchi

Pasqua con Carlo Betocchi

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Firenze, 12 aprile 2021 – Auguri di Buona Pasqua con versi bellissimi di Carlo Betocchi: versi da lui scritti per augurare la Buona Pasqua a un altro poeta «fratello» in umiltà e grandezza, Giorgio Caproni. E nuova occasione per segnalare che il «caso Betocchi» resta uno scandalo letterario del nostro tempo. Se Firenze non da oggi ha dedicato a Carlo Betocchi un centro studi e un premio che ogni anno si celebra, se a Firenze in perfetto orario sulla data anniversaria ha degnamente ricordato nel 2016 il trentennale della morte del poeta, altrove a un autore tra i massimi che la letteratura italiana novecentesca abbia avuto si tende spesso a negare il riconoscimento che gli spetta: un riconoscimento che dovrebbe risultare unanime e convinto per evidenza di fatti (valga anche la stupenda poesia di oggi, Per Pasqua: auguri a un poeta).

Si continua al contrario a trovarci di fronte ad un poeta dimenticato o nel migliore dei casi sottovalutato e frainteso. Giocano contro Betocchi – lo abbiamo altre volte notato e torniamo a ripeterlo – molti elementi: la sua toscanità un tempo vincente, il suo esibito ancorché discusso cristianesimo, la sua stessa, autorizzata e semplificata, immagine di poeta per dono, per grazia ricevuta, che al contrario abbina ai suoi innati talenti alte dosi di conquistata cultura. Tutto congiura a penalizzare un messaggio meraviglioso, trepidante e inquieto, quanto mai necessario in un mondo che sempre di più si dimentica, assieme alla poesia di Betocchi e alla poesia tout court, dell’uomo.

L’invito, per reagire, è quello a rileggere l’autore di Realtà vince il sogno, L’Estate di San Martino e le Poesie del Sabato, e a rileggerlo in Tutte le poesie ristampate di recente da Garzanti secondo la felice immagine-sigla che di lui ci ha lasciato Andrea Zanzotto: «poeta dei tetti, delle tegole» e insieme «poeta del cielo». Betocchi – da poeta «terrestre e celeste», per dirla con un altro grande poeta suo amico, Mario Luzi – è là, sull’arduo discrimine in cui l’«io» e il reale si incontrano, s’interrogano, comunicano. «Dai tetti», per dirla con un titolo betocchiano, secondo quel simbolico luogo deputato della trascendenza a portata d’uomo, linea di confine tra dimensioni che si integrano, di appannaggi umani irrinunciabili e spiritualmente qualificanti.

Auguri di Buona Pasqua con Carlo Betocchi!

Marco Marchi

Per Pasqua: auguri a un poeta

a Giorgio Caproni

Giorgio, quante croci sui monti, quante,
fatte d’un po’ di tutto, di filagne
che inclinate si spaccano, di scarti,

ma croci che respirano nell’aria,
in vetta alle colline, dove i poveri
hanno anch’essi un colore d’azzurro,

la simile cred’io l’ebbe Gesù,
non già di prima scelta, rimediata
tra’ rimasugli d’un antro artigiano,

commessa con cavicchi raccattati,
eppure estrosa, ed alta, ed indomabile
e tentennante com’è la miseria:

ecco la nostra Pasqua onde ti manda
il mio libero cuore quest’auguri
pensando che non è per l’occasione

ma per quella di sempre, che si salva
dalle occasioni, del cuor che non soffre
che del non amare, e sempre sta in croce

con un cartiglio fradicio che in vetta
dice: È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore.

Carlo Betocchi

(da L’Estate di San Martino, 1961, in Tutte le poesie)

I VOSTRI COMMENTI

framo
“Tu non scrivi le parole… scrivi con le cose, anzi coi corpi vivi e viventi, anche quando appartengono al regno minerale o a quello del puro spirito …”. Queste poche frasi, tratte da una delle tante lettere di Caproni all’amico Carlo, assieme alla stima evidentemente reciproca, raccontano di una vicinanza tra poeti autentici, “naturali” – nel senso di non “voluti” -, poeti senza posa, e del loro umanissimo, comune sentire, teso a non volere “fare versi che non si siano patiti di persona” (citando liberamente Betocchi in una delle tante lettere all’amico Giorgio). Come non amare un poeta che all’amico poeta scrive: “senza una parola di vita non c’è né inferno né paradiso e senza inferno e paradiso non ci sono poeti”? Evviva Betocchi, evviva Caproni. Grazie e una serena Pasqua anche a lei, professore.

Antonietta Puri
Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l’essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d’auguri all’amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che, carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte necessaria, la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell’umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull’ egoismo.

Antonella Bottari
La Croce, la Pasqua e Betocchi. “La Croce irraggia luce dal Calvario, / di nuovo posta da Rosmini al sommo: / dice in salvezza del mondo precario / che un solo Amore è vero e necessario”. Al tema della croce è dedicata questa poesia di Rebora, scritta per la festa di Cristo Re del 1955, in occasione del centenario della morte di Antonio Rosmini; premessa necessaria ad introdurre il percorso spirituale di Betocchi il quale anche in “Resurrexit” riflette sul mistero pasquale, dato che in un verso si percepisce nettamente il desiderio di rinnovamento insito nel mistero della Pasqua: “Via il peso delle private abitudini!” Il mutamento, invocato come si invoca la pioggia benedetta è desiderio di Grazia da condividere. La poesia scelta oggi, dedicata a Caproni, reca in sè traccia ineludibile a mio parere, di questo percorso spirituale, ma in diverso modo. Si apre con uno scenario di croci sul monte e sulle colline: croci, croci di poveri come quella di Cristo, povero tra i poveri, che ebbe una croce rimediata tra gli scarti di un falegname, “eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com’è la miseria”. La precarietà diviene, come in tutto il Novecento, garanzia di reattività e di grandezza. Gli auguri non sono di circostanza, ma dettati dal profondo dell’ essere vivi e dal cuore che patisce solo di non amare. È un messaggio ideale, da poeta a poeta, da anima ad anima, con fede il primo, indirizzato ad un uomo stanco e provato anch’ egli da un senso di sconforto temporale. Come una carezza affettuosa, mite e meditativa, che oggi è anche per tutti noi.

Angela Bottari
Suonano straordinariamente attuali i versi di Bertocchi, ora che abbiamo visto alta e “tentennante” la Croce ricavata dagli scarti rossi e azzurri dei barconi dei migranti fra i detenuti del carcere di Opera e nei luoghi dove regnano la povertà – anche morale – e l’abbandono come richiesta di perdono e simbolo di possibile riscatto. E proprio oggi cerchiamo attraverso questi versi di recuperare un barlume di speranza, proprio mentre suonano sirene di guerra ai confini d’Europa e ci sembra calpestato e sepolto tra le macerie quel cartiglio che dice ” È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore”.
Che sia una Pasqua di rinnovata speranza per lei Professore, e per tutti coloro che seguono questa pagina

Maria Grazia Ferraris
Poesia di grande impatto emotivo. Semplice e profonda nel contempo, di grande umanità, moralità, volutamente defilata nella sua dolcezza e nel ricordo degli anni giovanili così poveri e faticosi. Mi cattura il tono colloquiale, la calma, la lentezza, la capacità di condivisione, la confidenza che prescinde da ogni enfasi o ideologia con cui B. si rivolge a G. Caproni: “Giorgio, quante croci sui monti, quante,/fatte d’un po’ di tutto, di filagne/che inclinate si spaccano, di scarti, ma croci”….Una dichiarazione d’amicizia e un augurio così sinceri e senza risvolti intellettualistici, che si vuol condividere con un’umanità sofferente e che commuove nel profondo : .. “il mio libero cuore… che non soffre/che del non amare, e sempre sta in croce…” . Una dichiarazione di fede senza esibizioni, senza aggettivi, da condividere con quel Cristo in croce, “un poveraccio, questi che vuole/ciò che il mondo non vuole, solo amore.”

Isola Difederigo
Un invaso d’azzurro, un libero cuore, un poeta per amico, e una croce. È Pasqua! Umile, altissimo Betocchi.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
Betocchi con penna quotidiana, umile, dimessa – volutamente dimessa – tocca direttamente il cuore “dell’enigma”, il significato profondo della Pasqua, il suo messaggio d’amore inascoltato. E quelle croci sfilacciate, inclinate, povere come la nostra incerta fede, sono tutta la nostra ricchezza e svettano, si stagliano contro l’azzurro del cielo! “Non omnes arbusta iuvant humilesquae myricae”.

tristan51
Solo Betocchi poteva scrivere versi come questi. Un gioiello (gioiello di povertà, gioiello di carità, gioiello di verità), un capolavoro.

Paolo Parrini
Un Poeta scrive a un Poeta: ed è meravigliosa Poesia. I tetti di Betocchi giungono al cielo, si fanno croce, umile legno che all’azzurro si staglia. Una croce umile come quella di Gesù, e come la sua alta e tentennante. Betocchi en Caproni, due Maestri accomunati da una Umiltà rara, due anime che si comprendono senza parlare. E li immagini su un cocuzzolo ventoso, fra croci di legno messe insieme alla buona, colmi di lacrime e di umanità. Colmi d’Amore .

Matteo Mazzone
Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di “oggettività d’ammirazione”, in quanto personificatore di un’arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante – almeno in questo testo – una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza.

Arianna Capirossi
“Per Pasqua: auguri a un poeta” è un componimento in terzine di endecasillabi sciolti che sviluppa una riflessione sul tempo di Pasqua. Il ritmo è mosso dalla varietà degli endecasillabi, non unicamente piani (alcuni sono sdruccioli e uno è tronco), e dalla presenza di enjambement. Dominano la poesia la parola-chiave “croci” (“croce”) e il campo semantico della povertà: tutto, dal paesaggio circostante alla propria condizione esistenziale, è riportato dallo sguardo del poeta alla vicenda umana di Gesù Cristo. La figura della croce è descritta nella sua materialità e nella sua sublime umiltà: fatta di filagne spaccate e di scarti e, nel contempo, viva e solenne e svettante sulle colline. I suoni duri e ruvidi “r” e “c” caratterizzano la descrizione della croce di Cristo secondo il poeta: “rimediata / tra ‘ rimasugli d’un antro artigiano, / commessa con cavicchi raccattati”, suggerendo un’idea di povertà e di quotidianità subito elevata e resa eccezionale tramite l’aggettivazione in climax: “estrosa, ed alta, ed indomabile”. I suoni scuri “o” ed “a” che si susseguono in questi versi suggeriscono la potenza tonante e infinita del simbolo della croce. Questa forza si cela nell’umile quotidiano e appartiene allo stesso poeta, il quale la condivide con il fraterno amico Caproni. La grandezza della croce che domina la collina sta nella sua semplicità, così come la grandezza del poeta sta nel chiudere il componimento sublimando un termine, “poveraccio”, solitamente impiegato in senso dispregiativo: “poveraccio”, ai tempi di Cristo (così come nei tempi di San Francesco e in quelli odierni), era (è) considerato colui che “vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore”; eppure, proprio la sua convinta povertà e il rispetto altrui erano la sua forza e il suo coraggio, ponendolo controcorrente rispetto alla vile avidità che rende meschini, grevi, violenti. L’eternità del messaggio cristiano è, nel volgere di questi versi, sancita in contrasto con la finitudine di chi non conosce amore.

Duccio Mugnai
Davvero una poesia straordinaria. Betocchi, un poeta senza dubbio molto sottovalutato, probabilmente perché è troppo palese il suo ‘credo’ profondo e cristiano, il quale non è fatto di apparenza e superficialità, ma si sostanzia di una riflessione e vero accertamento dell’essere umano e della sua natura. Con Caproni condivide l’umiltà e la grandezza; capisce perfettamente che la croce di Cristo non ha paura di sporcarsi di miseria e disprezzo, di ciò che maggiormente travolge e macera l’essere umano. La croce di Cristo sta davanti a tutti noi, credenti e non credenti, “con un cartiglio fradicio che in vetta / dice: È un poveraccio […]”, solo un poveraccio, colui che ci conosce bene e ci parla, perché uomo come noi.

Chiara Scidone
Con questa poesia dedicata a Caproni, il poeta augura una buona pasqua, chiedendo e desiderando nient’altro che amore. Una cosa insolita e strana per tutto il resto del mondo che non comprende questa sua richiesta, perché attaccato alle cose materiali. Un augurio semplice e sincero ma allo stesso tempo anche profondo.

Maria Antonietta Rauti
Stupendi i versi “È un poveraccio, questi che vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore.” È un pensiero che nasce da un sentimento vero, quello che solo i Poeti son capaci di far vivere e sopravvivere.

Giacomo Trinci

L’unico “realismo”: quello della poesia. Si potrebbe iniziare così, un discorso sul cammino misterioso, lampeggiante della poesia di Carlo Betocchi: devota alle figure, alle cose del mondo, segni di qualcosa che ne attraversa il folgorante apparire. Ogni volta, nel suono delle parole, nel suo verso, si ritrova l’antica confidenza del divino nel mondo. Come qui, in queste croci fatte “un po’ di tutto”, di materiale povero, come quella ch’ebbe Gesu’… ecco, il mistero del comune, del basso, degli scarti subito lavorato da quella forza che, con Luzi, viene voglia di chiamare, il “giusto della vita”. Dobbiamo ripartire da qui, dalla terrestrità celeste di questa poesia pasquale indirizzata per auguri ad un altro grande fratello in poesia, Giorgio Caproni, per ritrovare un respiro nuovo, adatto a salvare la nostra parte viva, dal capitale morto che ci grava addosso.