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Firenze, 18 dicembre 2023 – La modernità di Giovanni Pascoli consiste anche nel suo sperimentalismo linguistico. Distante dalle prospettive di poetica e di realizzazione tecnica che avevano sovrinteso alla elaborazione di un libro come “Myricae” o come i “Canti di Castelevecchio”, ecco un Pascoli narrativo, espressamente rivolto a a una produzione più complessa, più ambiziosa anche nell’orientarsi verso tematiche socio-contemporanee come quelle dell’emigrazione: tanto da cominciare in qualche modo ad assumere, sulla scia di Carducci e in parallelo con d’Annunzio, una analoga funzione di poeta vate.

Protagonista del poemetto “Italy”, del 1904, è il fenomeno migratorio degli italiani in America. Pascoli fa suo il tema attraverso una vicenda di cui è stato realmente testimone: il ritorno in patria di parenti e amici contadini della Garfagnana. L’ottica è evidentemente più di tipo umanitario che politico, fin dal primo canto qui proposto, incentrato sul ritorno in Italia di una bambina italo-americana, Maria-Molly, per cercare di scampare alla tisi.

Ma al di là dei temi svolti e delle ottiche adottate nell’affrontarli, si ponga attenzione al loro trattamento in chiave squisitamente linguistica: terzine modernamente modellate attraverso endecasillabi in cui il fonosimbolismo pascoliano prevalentemente trionfa non più attraverso innesti sonori derivati dal mondo animale (come in “Alba” o nell'”Assiuolo”) o dall’universo delle cose (come nella “Mia sera”: le campane che invitano al sonno), ma attraverso l’immissione di vocaboli stranieri (còlti perfino nelle loro scempiate e corrottissime pronunce da immigrati) o viceversa l’italiano inventato.

Per suo conto la lettura che del testo fa Umberto Orsini nel primo video allegato al post rende benissimo la davvero notevole originalità del componimento così perseguita. Grande e spesso grandissimo Pascoli!

Marco Marchi

Italy
Sacro all’Italia raminga

Canto primo

I
A Caprona, una sera di febbraio,
gente veniva, ed era già per l’erta,
veniva su da Cincinnati, Ohio.
La strada, con quel tempo, era deserta.
Pioveva, prima adagio, ora a dirotto,
tamburellando su l’ombrella aperta.
La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto
erano, sotto la cerata ombrella
del padre: una ragazza, un giovinotto.
E c’era anche una bimba malatella,
in collo a Beppe, e di su la sua spalla
mesceva giù le bionde lunghe anella.
Figlia d’un altro figlio, era una talla
del ceppo vecchio nata là: Maria:
d’ott’anni: aveva il peso d’una galla.
Ai ritornanti per la lunga via,
già vicini all’antico focolare,
la lor chiesa sonò l’Avemaria.
Erano stanchi! Avean passato il mare!
Appena appena tra la pioggia e il vento
l’udiron essi or sì or no sonare.
Maria cullata dall’andar su lento
sembrava quasi abbandonarsi al sonno,
sotto l’ombrella. Fradicio e contento
veniva piano dietro tutti il nonno.

II
Salivano, ora tutti dietro il nonno,
la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso
non abbaiò; scodinzolò tra il sonno.
E tentennò sotto il lor piede il sasso
d’avanti l’uscio. C’era sempre stato
presso la soglia, per aiuto al passo.
E l’uscio, come sempre, era accallato.
Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi.
Ed era buia la cucina allato.
La mamma? Forse scesa per due ciocchi…
forse in capanna a mòlgere… No, era
al focolare sopra i due ginocchi.
Avea pulito greppia e rastrelliera;
ora, accendeva… Udì sonare fioco:
era in ginocchio, disse la preghiera.
Appariva nel buio a poco a poco.
“Mamma, perché non v’accendete il lume?
Mamma, perché non v’accendete il fuoco?”
“Gesù! Ché ho fatto tardi col rosume…”
E negli stecchi ella soffò, mezzo arsi;
e le sue rughe apparvero al barlume.
E raccattava, senza ancor voltarsi,
tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma,
brocche, fuscelli, canapugli, sparsi
sul focolare. E si levò la fiamma.

III
E i figli la rividero alla fiamma
del focolare, curva, sfatta, smunta.
“Ma siete trista! siete trista, o mamma!”
Ed accostando a gli occhi, essa, la punta
del pennelletto, con un fil di voce:
“E il Cecco è fiero? E come va l’Assunta?”
“Ma voi! Ma voi!” “Là là, con la mia croce”
I muri grezzi apparvero col banco
vecchio e la vecchia tavola di noce.
Di nuovo, un moro, con non altro bianco
che gli occhi e i denti, era incollato al muro,
la lenza a spalla ed una mano al fianco:
roba di là. Tutto era vecchio, scuro.
S’udiva il soffio delle vacche, e il sito
della capanna empiva l’abituro.
Beppe sedè col capo indolenzito
tra le due mani. La bambina bionda
ora ammiccava qua e là col dito.
Parlava; e la sua nonna, tremebonda,
stava a sentire, e poi dicea: “Non pare
un luì quando canta tra la fronda?”
Parlava la sua lingua d’oltremare:
“…a cicken-house” “un piccolo luì…”
“…for mice and rats” “che goda a cinguettare,
zi zi” “Bad country, Ioe, your Italy!”

IV
Italy, penso, se la prese a male.
Maria, la notte (era la Candelora),
sentì dei tonfi come per le scale…
tre quattro carri rotolarono… Ora
vedea, la bimba, ciò che n’era scorso!
the snow! La neve, a cui splendea l’aurora.
Un gran lenzuolo ricopriva il torso
dell’Omo-morto. Nel silenzio intorno
parea che singhiozzasse il Rio dell’Orso.
Parea che un carro, allo sbianchir del giorno
ridiscendesse l’erta con un lazzo
cigolìo. Non un carro, era uno storno,
uno stornello in cima del Palazzo
abbandonato, che credea che fosse
marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo!
Maria guardava. Due rosette rosse
aveva, aveva lagrime lontane
negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse.
La nonna intanto ripetea: “Stamane
fa freddo!” Un bianco borracciol consunto
mettea sul desco ed affettava il pane.
Pane di casa e latte appena munto.
Dicea: “Bimbina, state al fuoco: nieva!
Nieva!” E qui Beppe soggiungea compunto:
Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva!”

V
Oh! No: non c’era lì né pie né flavour
né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?”
Oh! No: starebbe in Italy sin tanto
ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly!
Ioe godrebbe questo po’ di scianto.
Mugliava il vento che scendea dai colli
bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta
fissò la fiamma con gli occhioni molli.
Venne, sapendo della lor venuta,
gente, e qualcosa rispondeva a tutti
Ioe, grave: “Oh yes, è fiero… vi saluta…
molti bisini, oh yes… No, tiene un frutti-
stendo… Oh yes, vende checche, candi, scrima…
Conta moneta! Può campar coi frutti…
Il baschetto non rende come prima…
Yes, un salone, che ci ha tanti bordi…
Yes, l’ho rivisto nel pigliar la stima…”
Il tramontano discendea con sordi
brontoli. Ognuno si godeva i cari
ricordi, cari ma perché ricordi:
quando sbarcati dagli ignoti mari
scorrean le terre ignote con un grido
straniero in bocca, a guadagnar danari
per farsi un campo, per rifarsi un nido…

VI
Un campettino da vangare, un nido
da riposare: riposare, e ancora
gettare in sogno quel lontano grido:
Will you buy… per Chicago Baltimora.
Buy images… per Troy, Memphis, Atlanta,
con una voce che te stesso accora:
cheap! Nella notte, solo in mezzo a tanta
gente; cheapcheap! tra un urlerìo che opprime;
cheap!… Finalmente un altro odi, che canta…
Tu non sai come, intorno a te le cime
sono dell’Alpi, in cui si arrossa il cielo:
chi canta, è il gallo sopra il tuo concime.
“La mi’ Mèrica! Quando entra quel gelo,
ch’uno ritrova quella stufa roggia
per il gran coke, e si rià, poor fellow!
va pur via, battuto dalla pioggia.
Trova un farm. You want buy? Mostra il baschetto.
Un uomo compra tutto. Anche, l’alloggia!”
Diceva alcuno; ed assentiano al detto
gli altri seduti entro la casa nera,
più nera sotto il bianco orlo del tetto.
Uno guardò la piccola straniera,
prima non vista, muta, che tossì.
You like this country…” Ella negò severa:
Oh no! Bad Italy! Bad Italy!”

Giovanni Pascoli

(1904; da Italy, in Primi poemetti)

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