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Firenze, 22 aprile 2018
Il tuo morire
Niente riusciva a fermarti.
Non il giorno più bello. Non la quiete. Non l’ondeggiare dell’oceano.
Continuavi a morire.
Non le piante
sotto cui camminavi, non le piante che ti davano ombra.
Non il dottore
che ti aveva avvertito, il dottorino biancocrinito che già una volta t’aveva salvato.
Continuavi a morire.
Niente riusciva a fermarti. Non tuo figlio. Non tua figlia
che ti imboccava e ti aveva reso di nuovo bambino.
Non tuo figlio che credeva saresti vissuto per sempre.
Non il vento che ti strattonava il bavero.
Non l’immobilità che si offriva al tuo movimento.
Non le scarpe che ti si appesantivano.
Non gli occhi che si rifiutavano di guardare avanti.
Niente riusciva a fermarti.
Te ne stavi in camera e guardavi la città
e continuavi a morire.
Andavi al lavoro e lasciavi che il freddo ti penetrasse i vestiti.
Lasciavi trasudare sangue nei calzini.
Il volto ti si faceva bianco.
La voce ti si spezzava in due.
Ti appoggiavi al bastone.
Ma niente riusciva a fermarti.
Non gli amici che ti consigliavano.
Non tuo figlio. Non tua figlia che ti guardava rimpicciolire.
Non la stanchezza che viveva nei tuoi sospiri.
Non i polmoni che si riempivano d’acqua.
Non le maniche che sopportavano il dolore delle braccia.
Niente riusciva a fermarti.
Continuavi a morire.
Quando giocavi con i bambini continuavi a morire.
Quando ti accomodavi a pranzo,
quando ti svegliavi la notte, bagnato di lacrime, il corpo scosso da singhiozzi,
continuavi a morire.
Niente riusciva a fermarti.
Non il passato.
Non il futuro con il suo bel tempo.
Non la vista dalla finestra, la vista del cimitero.
Non la città. Non la città orrenda dagli edifici di legno.
Non la sconfitta. Non il successo.
Non facevi altro che continuare a morire.
Avvicinavi l’orologio all’orecchio.
Ti sentivi venir meno.
Stavi a letto.
Ti mettevi a braccia conserte e sognavi il mondo senza te,
lo spazio sotto gli alberi,
lo spazio in camera tua,
gli spazi che si sarebbero fatti vuoti di te,
e continuavi a morire.
Niente riusciva a fermarti.
Non il tuo respiro. Non la tua vita.
Non la vita che volevi.
Non la vita che avevi.
Niente riusciva a fermarti.
(traduzione di Damiano Abeni)
Your Dying
Nothing could stop you.
Not the best day. Not the quiet. Not the ocean rocking.
You went on with your dying.
Not the trees
Under which you walked, not the trees that shaded you.
Not the doctor
Who warned you, the white-haired young doctor who saved you once.
You went on with your dying.
Nothing could stop you. Not your son. Not your daughter
Who fed you and made you into a child again.
Not your son who thought you would live forever.
Not the wind that shook your lapels.
Not the stillness that offered itself to your motion.
Not your shoes that grew heavier.
Not your eyes that refused to look ahead.
Nothing could stop you.
You sat in your room and stared at the city
And went on with your dying.
You went to work and let the cold enter your clothes.
You let blood seep into your socks.
Your face turned white.
Your voice cracked in two.
You leaned on your cane.
But nothing could stop you.
Not your friends who gave you advice.
Not your son. Not your daughter who watched you grow small.
Not fatigue that lived in your sighs.
Not your lungs that would fill with water.
Not your sleeves that carried the pain of your arms.
Nothing could stop you.
You went on with your dying.
When you played with children you went on with your dying.
When you sat down to eat,
When you woke up at night, wet with tears, your body sobbing,
You went on with your dying.
Nothing could stop you.
Not the past.
Not the future with its good weather.
Not the view from your window, the view of the graveyard.
Not the city. Not the terrible city with its wooden buildings.
Not defeat. Not success.
You did nothing but go on with your dying.
You put your watch to your ear.
You felt yourself slipping.
You lay on the bed.
You folded your arms over your chest and you dreamed of the world without you,
Of the space under the trees,
Of the space in your room,
Of the spaces that would now be empty of you,
And you went on with your dying.
Nothing could stop you.
Not your breathing. Not your life.
Not the life you wanted.
Not the life you had.
Nothing could stop you.
Mark Strand
(da Elegia per il padre, 3, in L’inizio di una sedia, Donzelli 1999)
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