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Firenze, 21 gennaio 2018 – Poeta, traduttore e saggista, Franco Loi è nato a Genova il 21 gennaio 1930, ma ha vissuto fin dal 1937 a Milano, città alla quale si legano intimamente il suo mondo poetico e la scelta del dialetto come lingua di poesia.
Dopo la guerra, Loi svolge un’intensa militanza politica. Si impiega in vari mestieri e comincia intanto a scrivere versi: dapprima in italiano, poi, rispondendo a necessità espressive fattesi irrinunciabili ed esclusive, in dialetto. Il suo debutto ufficiale si situa però nei primi anni Settanta con le raccolte I cart (1973) e Poesie d’amore (1974), cui segue nel 1975 per i tipi di Einaudi il poemetto Stròlegh. Autorevolmente prefato da Franco Fortini, Stròlegh impone Franco Loi come presenza originale e di rilievo nel panorama della poesia italiana del secondo Novecento.
La vocazione epico-narrativa della poesia di Loi si caratterizza in senso espressionista, mediante l’uso personalissimo di un idioletto dialettale e gergale attinto dagli strati popolari e proletari della città e dell’Interland. La rappresentazione tragica e grottesca della Milano popolana della giovinezza, pure sensibile a continui sconfinamenti lirici e visionari, non è infatti disgiunta dalla riflessione sulla società moderna, le sue contraddizioni e i suoi disagi, non esistendo per Loi due modi distinti di «essere uomo ed essere poeta», ma uno stesso impegno culturale, etico e civile, responsabilmente affidato alla poesia.
Dopo Teater, del 1978, gli anni Ottanta e Novanta vedono l’uscita di numerose raccolte: da L’aria a Liber, da Umber a Amur del temp. La tensione esistenziale e metafisica connaturata al vigoroso afflato libertario del poeta circola sempre più invasiva nei suoi versi, mescolando storia pubblica e storia privata, meditazione e racconto: questo in accordo con una crescente flessibilità dello strumento dialettale, come esemplarmente accade nel notevole poema L’angel, dove una efficacissima combinazione espressiva dei registri converge sul dialetto genovese, il dialetto materno di Colorno e il romanesco.
Anche negli ultimi libri – El vent, Isman, Aquabella, l’auto-antologia Aria de la memoria, Voci d’osteria, fino ai recenti I niül e Il silenzio, rispettivamente Interlinea e Mimesis –, l’universo poetico tra popolare e onirico del milanese Loi, con i suoi variegati e mutevoli paesaggi urbani, la sua «aria» e il suo Dio lontano e vicino, continua a trovare ispirazione nelle quotidiane vicende della vita e nel valore in esse assunto, costantemente, dal tempo e dalla memoria.
Marco Marchi
Vèss òm e vèss puèta…. Cum’i can
Vèss òm e vèss puèta… Cum’i can
che bàjen a la lüna per natüra,
per la passiensa de stà lí a scultà…
Vèss òm e vèss puèta… ’Na paüra
de vèss un’aria, un buff… duè murí…
Vèss òm e vèss puèta… Per la scüra
del crèss tra j òmm, despèrdess nel patí,
per returnà quèl fi’sc de la memoria
che la passiensa l’à sparagnâ nel dí.
Essere uomo ed essere poeta… Come i cani
che abbaiano alla luna per natura,
per la pazienza di star lí ad ascoltare…
Essere uomo ed essere poeta… Una paura
di essere un’aria, un soffio… dover morire…
Essere uomo ed essere poeta… Per l’oscurità
del crescere tra gli uomini, disperdersi nel patire,
per ritornare quel fischio della memoria
che la pazienza ha risparmiato nel giorno.
Franco Loi
(da Isman, Einaudi 2002)
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