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Firenze, 28 settembre 2018 – Ricordando che domani ricorrerà l’anniversario della morte del grande poeta inglese Wystan Hugh Auden (Vienna, 29 settembre 1973).

Auden è stato un poeta inglese importantissimo nel quadro della letteratura europea del Novecento. Di lui ci ha lasciato questa istantanea singolarmente significativa, in un libro intitolato “Fuga da Bisanzio”, il poeta russo Iosif Brodskij: “Lo vidi l’ultima volta a Londra nel luglio 1973, a una cena da Stephen Spender. Wystan, seduto a tavola con una sigaretta nella destra e un bicchiere nella sinistra, dissertava sul tema del salmone freddo. Poiché la sedia era troppo bassa, la padrona di casa provvide a infilargli sotto la persona due squinternati volumi dell’Oxford English Dictionary. Pensai allora che davanti ai miei occhi stava l’unico uomo che avesse il diritto di usare quei volumi come sedile”.

E infatti per Brodskij Auden è stato “la più grande mente del ventesimo secolo”, e già attribuire ad un poeta e non a uno scienziato o a un filosofo o magari a uno statista questo primato suona come qualcosa di davvero eclatante. Spirito molto libero (visse senza troppi problemi anche la propria omosessualità), personaggio trasgressivo dedito abbondantemente al fumo e al bere, Auden fu insieme un inglese nell’accezione più classica e blasonata del termine e un uomo cosmopolita apertissimo, vivendo tra Stati Uniti e Svizzera, ma anche facendo nel corso della sua vita numerosi viaggi e visitando molti Paesi: dalla Germania, alla Cina, all’Islanda.

La sua grandezza va ricondotta però, senz’altro, alla sua produzione di poeta, di cui la poesia di oggi, “Lo scudo di Achille”, ci offre una valido esempio, giocata com’è tra motivi di esibita ispirazione classica e modernità.

Marco Marchi

Lo scudo di Achille

Lei cercò, dietro le spalle di lui,
i vigneti e gli alberi di ulivo,
città di marmo bene amministrate,
e navi sopra il mai domato mare.
Ma lì, sopra il metallo scintillante,
le mani avevano sistemato una
distesa desolata, innaturale,
e il cielo aveva il colore del piombo.

Una spianata anonima, spoglia e scura, senza
un filo d’erba, e nulla lì vicino, non c’era
da mangiare, né un posto dove stare seduti.
Ma radunata già nel suo vacuo aspetto
stava una moltitudine difficile a distinguersi,
un milione di occhi e di stivali in fila
senza espressione in faccia, in attesa di un segno.

Una voce al megafono dimostrò – senza volto,
statistiche alla mano, con toni secchi e piatti
come il luogo – che alcune cause erano giuste.
Non ci furono applausi, nulla venne discusso;
colonna su colonna marciaron nella polvere
portando stretta in cuore la loro convinzione
la cui logica, altrove, li portò alla rovina.

Lei cercò, dietro le spalle di lui,
le devozioni rituali, i fiori
bianchi delle giovenche inghirlandate,
le offerte e i sacrifici per gli dei.
Ma lì, sopra il metallo scintillante,
dove doveva esserci un altare
vide nel luccicar della fucina
una scena del tutto differente.

Una zona era chiusa con del filo spinato;
lì ufficiali poltrivano annoiati (qualcuno
raccontava storielle) e le guardie sudavano
nel giorno caldo. In massa, gente umile e comune,
stava fuori a guardare, immobile e muta.
E tre figure pallide, erano spinte intanto,
legate, verso pali piantati nel terreno.

Tutto quanto al mondo ha misura o qualità,
ciò che sopporta un peso, e pesa sempre uguale
stava in mano altrui; e loro, miseri, non potevano
sperare aiuto, né aiuto venne. I nemici fecero
quel che vollero, e quanto di peggio poteva esserci
fu: la vergogna; persero l’orgoglio e morirono,
nel loro essere uomini, prima dei loro corpi.

Lei cercò, dietro le spalle di lui,
gli atleti intenti ai loro giochi, danze
aggraziate dove uomini e donne muovono
le membra a tempo, veloci, veloci…
Ma lì, sopra lo scudo scintillante,
non c’era posto per piste da ballo
le sue due mani avevano disposto
un campo soffocato dalle erbacce.

Un porcospino irsuto bighellonava in quel
niente, inutile e solo; un uccello si alzò
in volo, sfuggendo alla sua pietra preferita:
ragazze violentate, due ragazzi che ne
accoltellano un terzo; roba di tutti i giorni
per lui, che mai conobbe un mondo di promesse
mantenute, o di lacrime piante sul pianto altrui.

L’armaiolo dalle labbra sottili,
Efesto, zoppicò via, e la sua angoscia
gridò Teti dal petto scintillante
di fronte a ciò che il dio aveva forgiato
per Achille, suo figlio, l’uccisore
di uomini, il forte dal cuore d’acciaio
che non avrebbe avuto vita lunga.‎

The Shield of Achilles

She looked over his shoulder
For vines and olive trees,‎
Marble well-governed cities
And ships upon untamed seas,‎
But there on the shining metal
His hands had put instead
An artificial wilderness
And a sky like lead.‎

A plain without a feature, bare and brown,‎
No blade of grass, no sign of neighborhood,‎
Nothing to eat and nowhere to sit down, ‎
Yet, congregated on its blankness, stood
An unintelligible multitude,‎
A million eyes, a million boots in line, ‎
Without expression, waiting for a sign.‎

Out of the air a voice without a face
Proved by statistics that some cause was just
In tones as dry and level as the place:‎
No one was cheered and nothing was discussed;‎
Column by column in a cloud of dust
They marched away enduring a belief
Whose logic brought them, somewhere else, to grief.‎

She looked over his shoulder
For ritual pieties,‎
White flower-garlanded heifers,‎
Libation and sacrifice,‎
But there on the shining metal
Where the altar should have been,‎
She saw by his flickering forge-light
Quite another scene.‎

Barbed wire enclosed an arbitrary spot
Where bored officials lounged (one cracked a joke)‎
And sentries sweated for the day was hot:‎
A crowd of ordinary decent folk
Watched from without and neither moved nor spoke
As three pale figures were led forth and bound
To three posts driven upright in the ground.‎

The mass and majesty of this world, all
That carries weight and always weighs the same
Lay in the hands of others; they were small
And could not hope for help and no help came:‎
What their foes like to do was done, their shame‎
Was all the worst could wish; they lost their pride
And died as men before their bodies died.‎

She looked over his shoulder
For athletes at their games,‎
Men and women in a dance
Moving their sweet limbs
Quick, quick, to music,‎
But there on the shining shield
His hands had set no dancing-floor
But a weed-choked field.‎

A ragged urchin, aimless and alone, ‎
Loitered about that vacancy; a bird
Flew up to safety from his well-aimed stone:‎
That girls are raped, that two boys knife a third,‎
Were axioms to him, who’d never heard
Of any world where promises were kept,‎
Or one could weep because another wept.‎

The thin-lipped armorer,‎
Hephaestos, hobbled away,‎
Thetis of the shining breasts
Cried out in dismay
At what the god had wrought
To please her son, the strong
Iron-hearted man-slaying Achilles
Who would not live long.‎‎

Wystan Hugh Auden

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