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Firenze, 15 dicembre 2024– Ricordando che il 2 dicembre scorso ricorreva l’anniversario della morte del poeta inglese Philip Larkin (Kingston upon Hull, 2 dicembre 1985).
Aubade
Lavoro tutto il giorno, la sera bevo e sono mezzo sbronzo.
Alle quattro sto sveglio nel buio muto, fisso.
Gli orli delle tende via via schiariranno.
Frattanto vedo quello che in realtà c’è sempre:
la morte infaticabile, d’un giorno intero più vicina,
che rende ogni pensiero impossibile tranne
come dove e quando dovrò morire io stesso.
Arido interrogarsi: eppure la paura
di morire, d’essere già morto,
lampeggia nuovamente, avvince e terrorizza.
La mente sbianca all’abbaglio. Ma non di rimorso
– il bene non fatto, l’amore non dato, il tempo
strappato e non usato – né disgraziatamente
perché una sola vita può spendersi tutta a riscattare
i suoi inizi sbagliati, e non riuscirci mai;
ma per il vuoto totale ed eterno,
la sicura estinzione alla quale andiamo incontro,
dove saremo persi per sempre. Non essere qui,
né in nessun altro luogo,
e presto. Nulla di più terribile, nulla di più vero.
Ecco un modo speciale di prendersi quella paura
che nessun trucco scaccia. Provò la religione,
quel logoro e vasto broccato musicale
creato a farci credere che non morremo mai,
tutte quelle sciocchezze del tipo Nessun essere pensante
può temere una cosa che non sente, senza accorgersi
che è questo a spaventarci: niente vista, niente suono,
niente tatto o sapore, né odore, niente con cui pensare,
niente da amare e niente a cui legarsi,
l’anestesia dalla quale nessuno si risveglia.
Così rimane ai margini della visione,
una piccola fioca presenza, un freddo immobile
che frena i nostri impulsi fino all’indecisione.
Tante cose potrebbero non accadere mai:
questa accadrà, e il capirlo deflagra furioso
in bruciante paura se ci coglie senza niente
da bere o compagnia. Il coraggio non serve:
vale a non spaventare altri. L’essere forte
non risparmia la tomba a nessuno.
La morte non cambia se frigni o se l’affronti.
Lentamente la luce cresce, la stanza prende forma.
Certo come un armadio sta quello che sappiamo,
che abbiamo sempre saputo, che non si può sfuggire,
ma nemmeno accettare. Una parte dovrà cedere.
Frattanto i telefoni vegliano, pronti a squillare
in uffici ancora chiusi, e l’intero indifferente
intricato mondo in affitto comincia a svegliarsi.
Il cielo è bianco come calce, senza sole.
Il lavoro va fatto.
Postini come dottori vanno di casa in casa.
(traduzione di Francesco Dalessandro)
Aubade
I work all day, and get half-drunk at night.
Waking at four to soundless dark, I stare.
In time the curtain-edges will grow light.
Till then I see what’s really always there:
Unresting death, a whole day nearer now,
Making all thought impossible but how
And where and when I shall myself die.
Arid interrogation: yet the dread
Of dying, and being dead,
Flashes afresh to hold and horrify.
The mind blanks at the glare. Not in remorse
—The good not done, the love not given, time
Torn off unused—nor wretchedly because
An only life can take so long to climb
Clear of its wrong beginnings, and may never;
But at the total emptiness for ever,
The sure extinction that we travel to
And shall be lost in always. Not to be here,
Not to be anywhere,
And soon; nothing more terrible, nothing more true.
This is a special way of being afraid
No trick dispels. Religion used to try,
That vast moth-eaten musical brocade
Created to pretend we never die,
And specious stuff that says No rational being
Can fear a thing it will not feel, not seeing
That this is what we fear—no sight, no sound,
No touch or taste or smell, nothing to think with,
Nothing to love or link with,
The anaesthetic from which none come round.
And so it stays just on the edge of vision,
A small unfocused blur, a standing chill
That slows each impulse down to indecision.
Most things may never happen: this one will,
And realisation of it rages out
In furnace-fear when we are caught without
People or drink. Courage is no good:
It means not scaring others. Being brave
Lets no one off the grave.
Death is no different whined at than withstood.
Slowly light strengthens, and the room takes shape.
It stands plain as a wardrobe, what we know,
Have always known, know that we can’t escape,
Yet can’t accept. One side will have to go.
Meanwhile telephones crouch, getting ready to ring
In locked-up offices, and all the uncaring
Intricate rented world begins to rouse.
The sky is white as clay, with no sun.
Work has to be done.
Postmen like doctors go from house to house.
Philip Larkin
(da Collected Poems, Faber and Faber, 1988)
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