La diagnosi precoce nel tumore ovarico è il punto d’arrivo di un’indagine condotta da ACTO Italia su un campione di oltre cento pazienti rappresentative delle diverse regioni d’Italia. Secondo i risultati, il 70% delle donne con tumore ovarico conosce già la malattia prima della diagnosi, un aumento significativo rispetto a 10 anni fa, quando solo il 30% ne era a conoscenza. Nonostante questo, meno di tre pazienti su dieci scelgono di curarsi in un centro specializzato, ignorando quanto tale decisione possa fare la differenza nel percorso di cura.

 

Nel 70% dei casi si scopre il tumore quando è già in fase avanzata, a causa di sintomi aspecifici, o perché dopo la menopausa, proprio quando l’incidenza delle neoplasie dell’ovaio è in ascesa, sono meno frequenti nel tempo i controlli ecografici in ginecologia. A evidenziare questa realtà è un dossier intitolato cambiamo rotta, primo libro bianco illustrato che racconta il vissuto delle donne con tumore ovarico, pubblicazione recentemente presentata al ministero. Si tratta di un volume stato realizzato con il contributo di oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e che racchiude le testimonianze di donne che raccontano le loro vicissitudini

 

Cambiamo rotta è un’idea di ACTO Italia, Alleanza contro il Tumore Ovarico ETS, iniziativa sostenuta da GSK e Roche. Ricevendo il patrocinio di varie società scientifiche e l’adesione di associazioni come Loto e Mai più sole, il progetto ha attirato l’attenzione di enti, istituzioni, e ha il privilegio di vantare come madrina l’attrice Nancy Brilli.

 

Ma come anticipare la diagnosi di tumore ovarico per ottenere successi terapeutici più facilmente? Secondo Nicoletta Cerana, Presidente ACTO Italia, occorre incrementare l’informazione sulla malattia e sui centri specializzati, dare consapevolezza, sostenere la ricerca, incoraggiare la diagnosi precoce, aprire ai test genomici per le cure personalizzate e discutere dei bisogni riguardanti la sessualità durante le cure oncologiche, un tema spesso trascurato.

 

Uno dei risultati più interessanti nel trattamento del carcinoma ovarico è stato la scoperta di bersagli che possono essere raggiunti con farmaci mirati: parliamo del Deficit della Ricombinazione Omologa (HRD).  Nicoletta Colombo dell’Istituto Europeo Oncologia, ha precisato che il deficit è presente in tutti i tumori con mutazioni BRCA e in un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni, quindi nella metà dei casi totali. È quindi importante, per la specialista delle IEO, garantire due tipi di accertamenti: i test genetici finalizzati alla prevenzione e i test genomici sul tessuto tumorale, come il test HRD, per personalizzare le cure.

 

 

L’indagine promossa da ACTO Italia ha rivelato che meno della metà delle pazienti accede alla profilazione genomica e c’è ancora un 12% di pazienti a cui non è stato proposto il test genetico per le mutazioni BRCA. Attualmente, solo la ricerca delle mutazioni BRCA è nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre la ricerca di HRD non è ancora rimborsata dal Sistema sanitario nazionale. Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia Molecolare Predittiva, sottolinea il rischio che non tutte le pazienti possano accedere ai test in modo uniforme sul territorio e che la decisione di quale tipo di strategia utilizzare dovrebbe essere lasciata agli esperti in base al quesito clinico.