Utopia

E poi c’era Veltroni. Giovanni Veltroni. Fiorentino. Fiorentinissimo. Architetto mal compreso dai suoi concittadini (sai che novità!). Era nato il 21 novembre del 1880. Le aveva provate tutte. Ma nulla, i suoi lavori erano stati giudicati mediocri. I professori scuotevano la testa. Non erano convinti. Troppo estroso. Poi, un giorno, Giovanni conobbe José Batlle y […]

E poi c’era Veltroni. Giovanni Veltroni. Fiorentino. Fiorentinissimo. Architetto mal compreso dai suoi concittadini (sai che novità!). Era nato il 21 novembre del 1880. Le aveva provate tutte. Ma nulla, i suoi lavori erano stati giudicati mediocri. I professori scuotevano la testa. Non erano convinti. Troppo estroso. Poi, un giorno, Giovanni conobbe José Batlle y Ordóñez. I due fecero amicizia a Firenze. Si dà il caso che José fosse presidente dell’Uruguay e che ne capisse di architettura. Così tanto da proporre a Giovanni di seguirlo a Montevideo per progettare qualcosa di carino. Giovanni andò. Costruì mezza Montevideo e non tornò più a Firenze.

E poi c’era Garibaldi. Giuseppe. Nizzardo. Italiano, molto italiano. Era arrivato, per sfuggire alla polizia sabauda, da Marsiglia. Si era innamorato. Aveva combattuto in una delle confuse e numerose guerre che caratterizzano la storia del Brasile. Poi, anch’egli si era trasferito a Montevideo. Aveva ‘regolarizzato’ la sua unione con Anita. La sua Legione Italiana – che aveva una bandiera con il vulcano rosso in mezzo, simbolo del Vesuvio e dell’Italia redenta dai tiranni – le aveva date di santa ragione (in 300 contro 3mila) agli aggressori argentini nel 1846 a San Antonio, vicino a Salto.

E poi c’era Batlle. Il Presidente con la maiuscola. Pensate un po’: in Uruguay la legge sul divorzio è del 1907. Grazie a lui. Quella sul voto alle donne del 1932.

Ancora: ai giorni nostri arriva Pepe Mujica che, «colpisce per la coerenza tra quello che dice e come vive: durante i primi quattro anni di presidenza ha ceduto il 90% del suo stipendio (in tutto circa 12mila dollari netti al mese) per realizzare case popolari a altre opere a beneficio dei più bisognosi». Quel Mujica che sostiene una verità assoluta: «L’animale uomo resta essenzialmente un animale utopico, nel senso che ha sempre bisogno di qualcosa in cui credere, perché se non ci si innamora di qualcosa non ha senso alzarsi tutte le mattine e continuare a lottare».

Potrei continuare all’infinito. Ma se correte in libreria a comprare «Il Paese dell’Utopia» di Leonardo Martinelli (Laterza, 13 euro) è meglio. Il giornalista ha scritto un libro matto e spassoso, impegnato (non dimentichiamo che in America latina anche l’Uruguay ha avuto i suoi boia modello-Pinochet dal 1973 al 1985) e ben documentato, pieno di aneddoti storici e riferimenti letterari. Colpiscono le riforme degli ultimi anni. Secondo il Cepal – la Commissione economica per l’America latina e i Caraibi che dipende dall’Onu – nel 2013 l’Uruguay era il paese con meno poveri di tutta l’America latina, il 5,7% della popolazione (era il 18,8% nel 2009)». Nell’ottobre 2014, a pochi giorni dalla fine dell’incarico, Mujica aveva il consenso del 62% degli uruguaiani. Non è finita: in Uruguay il clero ha sempre contato il giusto. La Pasqua? «Settimana del turismo». L’Epifania? «Festa dei bambini». Nella scuola pubblica, come dovrebbe essere ovvio, non esiste insegnamento della religione.

Insomma, Martinelli ci regala un libro, come si diceva una volta, da leggere come un romanzo. Un romanzo indigesto per alcuni. Come Sua Eccellenza il Cavalier Benito Mussolini. Quando Veltroni (il fiorentino) fece un monumento a Garibaldi (il nizzardo) nel 1934, il dittatore italiano mandò in omaggio due fasci littori. Che, però, non piacquero alle organizzazioni antifasciste. Presero una mazza e fecero a pezzi quei lugubri simboli…

 

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