Todo modo

LA VERITÀ? È sotto gli occhi di tutti. Ce lo insegna La lettera rubata, il famoso poliziesco di Edgar Allan Poe, così come Todo modo, uno dei più celebri romanzi di Leonardo Sciascia, etichettato con un aggettivo, che probabilmente non gli sarebbe piaciuto: profetico. Quando il romanzo uscì nel 1974 – due anni prima del […]

LA VERITÀ? È sotto gli occhi di tutti. Ce lo insegna La lettera rubata, il famoso poliziesco di Edgar Allan Poe, così come Todo modo, uno dei più celebri romanzi di Leonardo Sciascia, etichettato con un aggettivo, che probabilmente non gli sarebbe piaciuto: profetico. Quando il romanzo uscì nel 1974 – due anni prima del film di Elio Petri e quattro anni prima dell’assassinio di Aldo Moro – l’impressione fu enorme. La storia del pittore che, bisognoso di pace e solitudine, arriva all’Eremo di Zafer e si trova invischiato in una serie di misteriosi delitti fu subito letta come una feroce critica al sistema, per certi versi anticipatrice della tragedia che, di lì a poco, avrebbe colpito il partito di maggioranza, vale a dire l’assassinio di Moro.

A dire la verità, Sciascia stesso non avallò mai completamente questa tesi: «Todo modo l’ho scritto in polemica con la Chiesa cattolica e in fondo anche con me stesso». Al contrario, diceva, Petri «mi par di capire che ne abbia fatto un film antidemocristiano: lo ha affascinato la scena dei notabili che, in quadrato, su e giù per lo spiazzale, recitano il rosario assieme a don Gaetano finché proprio davanti al rosario ci scappa il primo morto». Parole che indurrebbero a credere finita qui la questione. Feroce critica alla Chiesa, sempre pronta ad autoassolversi e presa di distanza – per nulla polemica, sia chiaro – dal film di Petri.

Invece, a scavare negli archivi, si trova un’altra dichiarazione dello scrittore: «In fin dei conti – disse riferendosi al film – il film sviluppa un tema che nel libro c’è, il farsi fuori dei democristiani tra loro, sino alla fine del partito, di tutto».

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PROPRIO per usare una parola cara allo scrittore di Racalmuto, occorre specificare che il contesto che decretò l’enorme successo del romanzo risiedeva in uno dei leit-motiv della poetica sciasciana: il potere, la cui incarnazione nel maggior partito italiano di allora ha sempre e comunque affascinato e, al tempo stesso, terrorizzato Sciascia. In quel don Gaetano che ha trasformato l’eremo in un hotel per ritiri spirituali di notabili e potenti, non è difficile leggere l’incarnazione del potere dc. Nei delitti che caratterizzano l’assassinio di uno dei politici e di un avvocato, potremmo intravedere una metafora dell’inesorabile fine della Balena Bianca, travolta dagli scandali e stretta tra il demone terrorista e una forte sinistra. Così come, nel finale, con la morte dell’inquietante Don Gaetano, è impossibile non leggere la fine della supremazia democristiana nella vita politica italiana.

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TODO MODO (che dà il nome a una prestigiosa rivista di studi sciasciani edita da Olschki, vero e proprio laboratorio per capire l’opera dello scrittore) dimostra inoltre una perfetta conoscenza del sistema di potere dc. Il che nasce, assai probabilmente, da quell’intensa attività giornalistica che Sciascia svolse tra la fine degli anni Quaranta e i primi Cinquanta per giornali come «Il Popolo», la «Sicilia del popolo» o l’‘eretica’ «Prova» (quest’ultima espressione diretta di un fuoriclasse della politica isolana, Giuseppe Alessi, ex presidente regionale, dc irreprensibile e «uomo di gusti sottili e limpido antifascismo»). Il che, sia chiaro, e come avverte lo studioso Domenico Scarpa, non vuol dire che Sciascia fosse stato democristiano. Ma certamente ineguagliabile indagatore delle vicende di quel partito (che tentò, nel 1976, di non far uscire il film di Petri perché in piena campagna elettorale).

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C’È POI il problema di capire chi fossero i protagonisti del romanzo. L’io narrante – vale a dire il pittore di cui mai si sa il nome – e don Gaetano. C’è chi avanzò l’ipotesi di Renato Guttuso (nel ’74 ancora in ottimi rapporti con Sciascia, salvo rompere con lui nel 1979 quando lo scrittore si candidò per i radicali) e Giulio Andreotti. «Fantasie», l’unica risposta che abbiamo avuto da chi Sciascia conobbe, lesse e tutt’ora studia.

Di sicuro, vale sempre la frase semplice che Sciascia pronunciò in più di un’occasione: «La mia funzione è di intelligere certe cose e di esprimerle nella forma migliore: le cose che guardano la società civile». Senza tralasciare che la letteratura, alla fine, parla della vita. E quindi di politica.

Ghidetti sciascia Sicilia