Il ‘grande vecchio’ della letteratura italiana, Niccolò Tommaseo, era stato chiaro e aveva vergato la seguente definizione per il monumentale Dizionario della lingua italiana (4 volumi, 7 tomi, un lavoro che lo impegnò dal 1858 al 1879): “Persuasione di coloro che oggidì credono a una comunicazione de’ viventi con gli spiriti d’un altro mondo, né naturale, né soprannaturale; la quale, se non è dimostrata, dimostra che l’uomo ha bisogno di credere a qualche cosa”. Lo scrittore si riferiva allo spiritismo che, in quegli anni dell’Ottocento, si diffonde a macchia d’olio nel nostro Paese. Mica roba da popolani: sono proprio le classi medie, le classi colte che sanno leggere, scrivere e far di conto ad appassionarsi ai fenomeni dell’aldilà proprio in concomitanza con i trionfi della scienza e del totalizzante scientismo positivista. Al fascino dell’occulto non sanno resistere nemmeno intellettuali prestigiosi e autorevoli, così come uomini politici del calibro di Giuseppe Mazzini.

Il termine spiritism viene importato dagli Stati Uniti verso Inghilterra e Francia a metà Ottocento ed entra nell’uso anglosassone nel 1864 e, nel ’66, in Francia. Coinvolgendo le élites intellettuali, diviene ben presto quella che per noi è la parapsicologia. Non dimentichiamoci che uno dei campioni del positivismo, lo psichiatra e antropologo socialista Cesare Lombroso, fu attento studioso della materia. E proprio Firenze, come sovente accade nell’Ottocento, vede protagonista di un episodio di spiritismo uno dei migliori intelletti italiani di tutti i tempi, il siciliano Luigi Capuana. Il personaggio è troppo noto per ripercorrerne la vita. Basti dire che era nato nel 1839 a Mineo, in provincia di Catania, il 29 maggio del 1839. Imbevuto di idealità garibaldine (all’Eroe dei Due Mondi dedicò la leggenda drammatica in tre canti intitolata appunto Garibaldi), Capuana, come moltissimi siciliani dell’epoca, ritiene Firenze tappa obbligata per ogni intellettuale che si rispetti. Così, nel 1864, decide di trasferirsi in riva all’Arno. Anni formidabili, quelli, in cui si afferma il nesso inscindibile tra politica e cultura, anni in cui Firenze è cosmopolita, lontana da ogni tentazione provinciale.

Capuana scrive di teatro per “La Nazione” e, come annota un critico, Vetro, in una saggio del 1922, “terrorizzò gli autori drammatici con i suoi giudizi di un rigore eccezionale, e si fece in tal modo molti avversari letterari”. Sempre sulla “Nazione” – nell’ottobre del 1867 – appare la sua prima prova narrativa, Il dottor Cymbrus, che, per ammissione di Luigi stesso, si ispira al racconto Le boite d’argent di Dumas figlio.

Attenzione: l’opera non va trascurata o declinata semplicemente come esordio perché con essa Capuana inaugura il filone fantascientifico e fantastico di cui fu maestro. Capuana, siamo nell’estate del 1864, si mette in testa di scrivere una biografia di Ugo Foscolo. E che cosa fa? Ricerche bibliografiche? Nemmeno per idea. Decide di… parlare direttamente con l’autore attraverso una medium. Insomma, vuole richiamare lo spirito dell’augusto poeta. In quell’anno Capuana vive in affitto presso una modesta famiglia vicino via dell’Agnolo e lì conosce, parole sue, una “ragazza sui diciotto anni, non bella, d’un bruno pallido, di costituzione linfatico nervosa, figlia dei padroni di casa”. Scrive ancora Luigi: “Mi venne la cattiva idea di indirizzarmi allo stesso Foscolo, facendolo evocare dalla Beppina. Era naturale, via! Che, dopo tante meraviglie magnetiche, non dubitassi più di nulla, di nulla!”. Ma il risultato, per ammissione dello stesso scrittore, non è dei migliori.

L’esperimento comincia in un’afosa sera d’agosto: lo spirito evocato si manifesta aggressivo e tutt’altro che accondiscendente: “Ricopiando questi dialoghi (tra lo spirito e la ragazza in trance ndr) – scriverà vent’anni dopo – sento nuovamente suonarmi nell’orecchio quella voce aspra, e riveggo la faccia pallida e contratta della sonnambula che metteva paura a guardarla”. Insomma, terrore tanto, risultati sulla vita del suo idolo letterario nessuno. Eppure, magia e spiriti non smettono mai di affascinare il grande siciliano. Tanto che, anni più tardi, scrive una lettera alla sua amante di Mineo in cui minaccia di ipnotizzarla per scoprire eventuali infedeltà…