SE NON SI CAPISCE il garibaldinismo non si capisce la diffusione del socialismo e la storia del movimento operaio. Specie nelle Romagne di secondo Ottocento. Definizione apodittica? No, a giudicare dall’ultimo romanzo di Valerio Evangelisti.

Infatti, lo scrittore bolognese pennella un’‘epopea della povera gente’ che, molto più di tanti saggi, aiuta a scoprire la storia della ‘canaglia pezzente’ che ‘suda e lavora’. Ci riferiamo a Il Sole dell’avvenire (Mondadori, pag. 530, euro 17,50). Illuminante il sottotitolo: «Vivere lavorando o morire combattendo». Una storia di lotte e di lutti, di fatica e di conquiste nelle terre di Romagna.

Professore, la sua analisi comincia da Garibaldi…
«Diciamo che è impossibile capire il socialismo in Romagna se non si parte dalla constatazione che i suoi maggiori esponenti vengono dal Risorgimento in camicia rossa. Così come dal mazzinianesimo si passa al repubblicanesimo».

Attilio, primo protagonista, venera l’Eroe dei Due Mondi. All’inizio anarchismo e socialismo non lo convincono, ma poi, piano piano, prende ‘coscienza di classe’.
«Per Attilio mi sono ispirato a personaggi realmente vissuti di cui ho letto le memorie. Oppure a lavoratori dell’epoca, stiamo parlando del secondo Ottocento, che avevano raccontato le loro vite ai nipoti, vite poi trascritte su quaderni conservati in soffitta. Ovviamente, ho anche attinto alle fonti della storia. In particolare mi sono immerso nella lettura dei giornali. Ma non basandomi sulle notizie di prima pagina, bensì sulla cronaca locale, sulle ultime pagine. Ho trovato una miniera da cui estrarre vicende umane di tutti i tipi. Con particolari molto interessanti che possono sfuggire allo studioso, non allo scrittore».

La sua è una storia di precarietà.
«Certo. I miei personaggi sono poveri e fanno una vita molto povera. Racconto chi mangia il giorno dopo».

Come oggi?
«No, affatto. Nessun paragone con l’attualità. Anche se, superfluo sottolinearlo, la precarietà è centrale nel mondo contemporaneo. Ma è diversa».

La Romagna, terra feconda per la sua storia.
«Feconda… A quei tempi, no! Il mio è un libro che ha l’ambizione di descrivere la trasformazione del territorio. Come questi uomini ‘poveri’ cambiarono il volto della Romagna».

La sua passione per la storia dell’antagonismo sociale e politico quanto ha influenzato Il Sole dell’avvenire?
«Nella politica attuale non mi ci ritrovo. Per nulla. E quindi ho cercato, come dire, un po’ di ‘purezza’. La mia famiglia, da parte materna, era socialista. Mia nonna teneva, accanto alle immagini sacre, un ritratto di Andrea Costa. Quando Mussolini saliva a Bologna i miei ‘antenati’ di Imola venivano arrestati preventivamente. Non erano violenti, ma profondamente convinti delle loro idee. E perciò pericolosi».

Questo è il volume iniziale di una trilogia.
«Vediamo. Vorrei arrivare sino alla Seconda guerra mondiale, ma prima devo vedere se funziona la prima ‘fatica’».

Una saga, insomma…
«No. Mica è una storia di eroi».

A chi consiglia la lettura del Sole dell’avvenire?
(Risata) «A tutti. A parte le battute direi: per me i lettori sono fondamentali, mi aiutano a capire i loro gusti. Mi guidano e consigliano via Internet. È un romanzo per appassionati di storia, e fin qui è osservazione ovvia. Mi farebbe molto piacere che lo leggessero i giovani e i giovanissimi. Per capire quanto tutto sia molto faticoso da conquistare».

Qual è il suo laboratorio?
«Meglio dire: ‘quand’è’. Scrivo di notte. Così nessuno mi disturba. Dormo gran parte della mattina, vado a fare la spesa, il pomeriggio lavoro un po’. Una volta, invece, scrivevo mentre la gente mangiava».

Francesco Ghidetti