CHE ANNO, quell’anno. È il 1989. Cade il Muro di Berlino. Il Pci sta per chiudere una storia cominciata a Livorno nel 1921. E muore Sciascia, Leonardo Sciascia, fra i più grandi scrittori del «secolo breve».
«Sì – dice Emanuele Macaluso, anch’egli siciliano doc, saggista, giornalista, autore di un romanzo uscito proprio in questi giorni per Castelvecchi (“I santuari”), ma soprattutto storico dirigente comunista – la morte di Leonardo si inserisce in un quadro di passioni forti, diciamo così. E io, che l’ho conosciuto bene, mi arrovello ancor’oggi, a venticinque anni di distanza, e mi chiedo: “Che contributo avrebbe potuto darci col suo pensiero e i suoi scritti?”».
Sciascia è un “irregolare”?
«No, assolutamente».
Perché?
«Perché c’è un filo rosso che unisce tutta la sua esistenza di uomo e di scrittore».
Srotoli il filo.
«Leonardo affronta e analizza sempre un problema: il potere. Meglio: come si incarna il potere. Che rapporto ha con i cittadini».
Un potere inquietante…
«Forse. Sciascia indaga il potere che schiaccia il cittadino. Meglio ancora: i poteri declinati al plurale. I poteri sono tanti: lo Stato, la mafia, l’economia».
E i partiti?
«Accidenti. Basta leggere “Todo Modo”. Oppure “Il contesto”».
Dc e Pci.
«Proprio così. Quando esce “Todo Modo” la polemica di cattolici e Democrazia cristiana è molto, molto aspra».
Ma anche voi comunisti…
«Vero. Anche noi ci scontriamo a più riprese con lui. Tante volte penso che forse sarebbe stato meglio accantonare i dissensi e dare più spazio all’amicizia».
Eppure Sciascia è consigliere comunale del Pci nella Palermo degli anni Settanta.
«Il che probabilmente contribuisce a inasprire la polemica specie in occasione dell’uscita del Contesto».
Polemiche che, nel 1979, portano Sciascia in Parlamento nelle fila del Partito radicale.
«In cui si sente perfettamente a suo agio. Non tanto perché condivida in toto le posizioni di Marco Pannella. Ma perché in quel partito può esprimere politicamente al meglio la sua critica al potere».
Anni terribili, gli anni dell’assassinio di Aldo Moro.
«Lui difende lo statista dc. Lui difende l’uomo di “Todo Modo”. Con il bellissimo “L’affaire Moro” ci racconta le vicende di un sistema che distrugge l’uomo di potere. Inesorabilmente. Ma non mi sorprende».
Perché?
«Difende tutti coloro che vengono schiacciati dal potere. Un altro esempio. Sul suo antifascismo c’è poco da discutere. Eppure, non ha esitazioni a schierarsi dalla parte dei fascisti se perseguitati».
Domanda inevitabile: e il famoso articolo sui “professionisti dell’antimafia”?
«Attenzione. Non creiamo equivoci. Non è a fianco dei mafiosi o dei fascisti. Leonardo pone un problema ancor’oggi cruciale. E cioè che non puoi combattere l’abuso con l’abuso. Cosa Nostra non deve essere sconfitta con i metodi del prefetto Cesare Mori o con le leggi eccezionali».
E come?
«Con il diritto e i comportamenti».
In teoria.
«No, in pratica. E ha perfettamente ragione. Se la legge non è uguale per tutti la mafia genera altra mafia. La violenza genera violenza».
Che romanzi di Sciascia tiene, come si usa dire, sul comodino?
«Sul comodino non tengo nulla. Una parte intera della mia libreria è invece occupata dagli scritti di Leonardo. Non solo romanzi: anche saggi, articoli, riflessioni di genere vario».
Politica e letteratura, binomio di ferro.
«Beh, se si pensa a Dante Alighieri… O al fervore del secondo dopoguerra».
E oggi?
«Rispondo con un malinconico no. Mi colpisce molto come il presente sia caratterizzato dall’assoluta lontananza della letteratura dalla politica. Di più: della cultura dalla politica».
Per fortuna c’è Sciascia, insomma.
«Sì. Anche perché non invecchia mai. Perché senza giustizia non può esserci democrazia. Perché Leonardo ha capito tante cose. E bene…».