La campagna elettorale a Roma entra nel vivo, come si dice con frase abusata. Il dramma sono i protagonisti. Se si escludono Francesco Storace e Stefano Fassina – il primo storico esponente della destra, profondo conoscitore del territorio, il secondo persona seria e autorevole della sinistra-sinistra, assai ferrato in questioni economiche – il panorama è desolante. C’è Marchini: la città è piena di suoi manifesti con un improbabile cuore, ma capire che cosa vorrebbe fare, che so, dei trasporti è impresa ardua. C’è Meloni (me presento, nun me presento, ahò me so’ presentata, nun so’ mai stata fascista e amenità di genere vario) che però deve scontare l’ostilità di Forza Italia e l’appoggio leghista non molto gradito dai romani. C’è Bertolaso: non sembra aver ancora carburato, per usare un eufemismo. C’è la Raggi: tosta, tostissima, senza però un progetto complessivo com’è tipico dei grillini, usi a far confusione senza arrivare mai al dunque. E c’è Giachetti. Romano e romanista doc, si è dato molto da fare. Sconta però un gap. E’ uomo delle istituzioni (fece il capo segreteria e poi di gabinetto della prima giunta Rutelli e non lavorò male), ma manca sul lato “sociale”.

Sia chiaro: non credo che nessuno sia così “impresentabile” come certi colleghi dicono. Epperò, conoscendo benino Roma, mi sembra che la cura per la nostra amata Capitale dovrebbe essere di quelle forti. Con personalità forti. Come, appunto, Storace o Fassina. Ma entrambi non hanno possibilità alcuna. E quindi il rischio di un ennesimo buco nell’acqua (altra espressione trita e ritrita, eppure non ne trovo altre) è altissima. Il che ci porta a una considerazione: se la destra non esiste più, frantumata e rissosa e se la sinistra perde le sue caratteristiche di progresso e difesa dei diritti dei più deboli il risultato è questo. Un risultato che annichilisce chi ama Roma, l’Italia e vuole una vita normale (attraversare la città, credetemi, è impresa ardua persino in metro).