Risorgimento siciliano

Difficile non rimanere appagati dopo la lettura di questo libro. Un po’ come quando ci si siede a tavola, magari d’estate, una leggera brezza marina, un buon vino bianco – rigorosamente d’Alcamo – e un saporito piatto di pesce. Vediamo dunque di capire i tratti fondamentali di Sicilia risorgimentale di Salvatore Costanza (edito dall’Istituto per […]

Difficile non rimanere appagati dopo la lettura di questo libro. Un po’ come quando ci si siede a tavola, magari d’estate, una leggera brezza marina, un buon vino bianco – rigorosamente d’Alcamo – e un saporito piatto di pesce. Vediamo dunque di capire i tratti fondamentali di Sicilia risorgimentale di Salvatore Costanza (edito dall’Istituto per la storia del Risorgimento italiano). Il volume, impreziosito da una prefazione di Romano Ugolini, presidente dell’Istituto e sommo esperto di vicende garibaldine, consta di una serie di scritti apparsi su più ribalte. E il fatto che Costanza abbia saputo raccoglierli senza dare l’impressione di qualcosa di “appiccicaticcio”, rende ancor più meritoria l’opera complessiva.

Impossibile dar conto di tutte le “suggestioni” che Costanza regala al lettore. Di certo non sbaglia l’Autore quando, nella nota ai testi, parla della necessità di impegnarsi sempre in una “inesauribile conoscenza del nostro passato” (se no, aggiungo, si pensa che esista la Padania…). E, a questo proposito, è molto utile l’Appendice bibliografica posta alla fine del volume che raccoglie oltre mezzo secolo di studi dell’autore, studi adatti non solo aun pubblico di adetti ai lavori. Direi anzi che si può decisamente parlare di “alta divulgazione”. E direi che il confine tra quelle che una volta si chiamavano “discipline” mi appare assai sottile. Uno strato di carta velina, insomma, che somma letteratura e storia.

Molto interessante “Un mito intellettuale” ove si ripercorre, tra l’altro, l’opera critica di Luigi Russo il quale suggeriva un “paradigma etnografico” che considerava Catania e Agrigento, l’antica Akrgras, le due province “letterariamente più feconde”, mentre a Palermo e Trapani prevalevano gli “interessi speculativi e scientifici, un po’ chiusi, in omaggio alla tradizione degli Arabi, dei vari Averroè e dei vari Avicenna, che vi ebbero risonanza e influenza”. Giudizi in parte contestati da Costanza (si vedano le pagine 13 e 14) che, di più, smonta, anche alla luce dei più recenti studi “l’immagine di una Sicilia disposta a ricevere passivamente il complesso di azioni onde si è venuto dispiegando nei secoli il flusso delle varie denominazioni”.

Altro elemento da segnalare (ve ne consiglio caldamente la lettura) riguarda gli intellettuali – camicia rigorosamente rossa – garibaldini. Scrive Costanza: “I primi accenni e presagi relativi alle forze latenti nella società contadina balenano nelle lettere e nei diari degli intellettuali/soldati che, al seguito di Garibaldi nella spedizione del ’60 in Sicilia, vennero improvvisamente a contatto con essa, suscitando magari reazioni ingenerose. All’inizio l’Isola si era loro presentata sotto il carico della mitologia e della storia, e come immobilizzata a creare lo sfondo dell’epopea garibaldina. Quel sentimento dominò un po’ tutti. E’ Giuseppe Bandi ad ammetterlo: ‘Adesso io misuro da quel che provai in quel giorno, ciò che agli altri miei compagni debbono aver provato, e dico che quel cielo ci parve più azzurro del cielo di Toscana e di Lombardia, e i venticelli ci parvero imbalsamati d’inebrianti profumi, e il sole ci sembrò più splendido e più grati ci parvero l’odor dei fiori e il sorriso delle donne, cioè delle rarissime donne che si videro in quel paese di ombrosi e gelosi maschi’ (I Mille). La Sicilia. ‘A nominarla, sento un mondo dell’antichità’, dice Abba. Gli appare chiusa ‘in una profondità misteriosa e sola’. ‘Qualcosa di vaporoso laggiù nell’azzurro tra mare e cielo, ma era l’isola santa!’ (Da Quarto al Volturno). Pieno di suggestioni classiche è anche il taccuino di Ippolito Nievo: ‘Aspetto africano di quella parte di Sicilia. Donne velate come le saracene (…) Solitudini e grandezze del paesaggio; il vero paesaggio di Teocrito’ (Diario della spedizione dal 5 al 28 maggio)”.

Costanza ragiona giustamente su due aspetti del Nievo: da una parte sprezzante verso i siciliani, dall’altra ben conscio del ruolo delle plebi rurali nella ‘rivoluzione nazionale’ e di come la ‘libertà – scrive Ippolito – è preziosa, ma pel popolo bracciante anche la sicurezza del lavoro, anche la pace e l’abbondanza non sono cose da buttare via’. Una sorta di anticipazione della novella Libertà di Giovanni Verga. Nel senso che la ‘vera’ libertà è la libertà dai bisogni. Non casualmente Costanza nota come giungano “inattesi” agli intellettuali/soldati garibaldini le aspirazioni di giustizia e le istanze di progresso economico e sociale: ma ben delineano la contrapposizione tra una realtà aspra e contraddittoria e l’immagine (sovente stereotipata) di una Sicilia immaginata con la fantasia del mito. Una contraddizione che imporrà una presa di coscienza politica fondamentale ai fini della nostra lotta unitaria.

Interessanti anche le note di Costanza su Garibaldi. A esempio sul concetto di “dittatura”, “livello più alto della fase rivoluzionaria” di chiara derivazione bolivariana. “Il tipo di guerra che teorizzava Garibaldi era l’attacco a ‘ferro freddo’, cioè alla baionetta” come poi sperimentò col trionfo di Calatafimi il 15 maggio 1860. Così come sono degni di nota gli appunti sul ‘popolo’ di Garibaldi, dell’uomo, per citare Emil Barrault, “che adotta l’umanità per patria” e che sempre rifugge da qualsiasi forma di populismo per approdare a un “socialismo” cosmopolita e umanitario, lontano dalle estremizzazioni bakuninane e dalle teorizzazioni scientifiche e marxiane. Le pagine di Costanza sul “socialismo” di Garibaldi ci paiono molto interessanti perché ci aiutano a mettere a fuoco, senza conclusioni definitive, un tema ancora assai dibattuto e di difficile risoluzione.

Sempre sui temi garibaldini, l’Autore intriga il lettore nella pagine riguardanti il Garibaldi che voleva fare di Tunisi la sua “terra d’esilio” dopo il memorabile e tragico al tempo stesso 1849. Una Tunisia, è noto, terra di rifugio di tanti italiani. E di moltissimi siciliani. Tanto che, ancor’oggi, esiste una comunità denominata ‘petit Sicilie’.

Insomma, 164 pagine tutte da leggere che riaffermano il ruolo decisivo della Sicilia nel processo unitario. Processo che ebbe il suo culmine nel 1860, con lo sbarco a Marsala. Un’epopea, checché se ne dica. Un’epopea e una stagione formidabile. Erano arrivati i Mille. Sbarcarono in Sicilia (il ruolo delle navi inglesi va ridimensionato, facciamola finita con queste leggende). E da quel momento la Storia cambierà.

PS Come accennavo ho colto solo alcuni aspetti a me particolarmente cari del libro di Costanza. Vi è molto altro. Come, a esempio, un capitolo sui meccanismi di controllo dei collegi elettorali e su Nunzio Nasi, figura di spicco nella politica isolana e italiana di fine secolo. Vittima di un ignobile complotto reazionario. Così come è da rimarcare la breve e felice galleria di immagini.

 

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