Brutta bestia, il razzismo. Pericolosa. S’insinua, maligna e melliflua, nelle vene pulsanti della società provocando disastri d’ogni genere. È un parassita, svuota poco a poco il corpo e la mente. E spesso è un paravento per affari poco leciti. O per guadagni certi, facili e rapidi. Di più: è un’occasione d’oro per risolvere problemi ingombranti. La domanda allora è: come combattere il mostro che ci infetta? Con le armi della cultura e della ragione e rammentando sempre che se sei razzista, c’è sempre qualcheduno che lo è più di te. Visti i tempi, dunque, non resta che mettersi all’opera leggendo l’ultima fatica di Enrico Deaglio per i tipi di Sellerio: «Storia vera e terribile tra Sicilia e America». Deaglio è giornalista d’antico corso e ha fatto dell’investigazione e della lotta ai luoghi comuni la sua ragione di vita (professionale). Chiaro, non è che il volume sia esente da difetti. Ci arriveremo. L’indagine – di sapore sciasciano – ricorda il terribile eccidio che avvenne, nella caldissima estate del 20 luglio 1899, di cinque immigrati siciliani a Tallulah, estremo nord est dello Stato della Louisiana. Linciati perché accusati di aver gravemente ferito il dottor Hodge per una capra. Sì, una capra. La bestiola, di proprietà degli isolani, avrebbe invaso il terreno del medico con conseguente sparatoria. Versione inverosimile, ma che non impedisce ai «bravi cittadini» americani di dare il via a una caccia all’uomo che si conclude con l’impiccagione dei cinque immigrati siciliani (di Cefalù, per la precisione).

DEAGLIO analizza (appunto: alla maniera di Sciascia) il contesto in cui avvenne quella orribile carneficina da cui si salvò solamente Joe Defina, già marinaio nella disfatta di Lissa nel 1866, che attraversa a nuoto il Mississippi. Gli altri cinque non hanno scampo. I loro nomi: Giuseppe (Joe) Defatta, di anni 34; Francesco (Frank) Defatta, di anni 30; Pasquale (Charles) Defatta, di anni 54; Rosario Fiduccia, di anni 37; Giovanni Cirami, detto Cyrano, di anni 23. Sono commercianti di frutta e verdura. L’eccidio viene così descritto: «Una folla ordinata e calma ma molto determinata» aveva provveduto all’impiccagione secondo la consuetudine del linciaggio.

DEAGLIO indaga mettendo a fuoco lo spirito dei tempi e analizzando gli avvenimenti storici in un ponte ideale tra Italia e Stati Uniti. Il razzismo, in quel fine scolo, è certificato da studiosi, politici e intellettuali. Si rabbrividisce a leggere, anche senza guardare chi scrive tali nefandezze, descrizioni di questo tipo sui siciliani: il loro «colore era il risultato di una commistione secolare con gli africani, qualcosa che era cominciato ai tempi di Annibale ed era proseguito, oscuramente, giù giù per il declino e la caduta dell’Impero romano».
E gente di simil fatta non poteva che essere accusata di aver ordito un complotto contro il dottore (facendo pascolare una capra nel suo territorio…) per instaurare un regime di terrore nel paese di Tallulah. In realtà, e com’è ovvio, la valanga razzista nascondeva ben altro. Figura centrale e misteriosa resta il dottor Hodge. Un mediocre medico (bianco, ovvio) che, parole di Deaglio, era «stato un consapevole, freddo, agente provocatore usato da chi voleva eliminare i siciliani dalla parrocchia».
Al fondo, le eterne ragioni economiche. Vale a dire una concorrenza spietata fra commercianti con conseguenti gelosie e rivalità. Al fondo, insomma, il solito maledetto denaro che tutto guasta.

DUNQUE, un libro da leggere. Per imparare e, soprattutto, per insegnare. Peccato per quelle semplificazioni su Giuseppe Garibaldi, l’antischiavista Giuseppe Garibaldi. A lui, l’Autore imputa colpe che non ha. E promesse che mai aveva fatto. O che, quantomeno, gli impedirono (lorsignori sabaudi) di rispettare…