Prefetti, che fare?

«AVETE voluto la ‘società civile’? Avete abolito il proporzionale? E ora beccatevi i prefetti». Ride il professor Luciano Canfora, storico dell’antichità e grande appassionato, come avrebbe urlato Filippo Tommaso Marinetti, di «attualità veloce». Ride fino a un certo punto. Professore, la politica non sta tanto bene… «Ammesso che esista ancora, la politica sta proprio male». […]

«AVETE voluto la ‘società civile’? Avete abolito il proporzionale? E ora beccatevi i prefetti». Ride il professor Luciano Canfora, storico dell’antichità e grande appassionato, come avrebbe urlato Filippo Tommaso Marinetti, di «attualità veloce». Ride fino a un certo punto.

Professore, la politica non sta tanto bene…

«Ammesso che esista ancora, la politica sta proprio male».

E allora, ecco i prefetti.

«Per forza. Se hai, appunto, una politica subalterna. Se hai un personale politico che, ogni giorno che passa, si rivela sempre più scadente. Se ci sono partiti e uomini improvvisati, è ovvio che c’è la surroga. Una surroga di peso, di chi conosce davvero l’amministrazione».

Ma è sempre stato così?

«Nell’antichità il praefectus era uno cui era affidato un determinato compito. Era a termine. Tranne che in un caso. Quando Augusto mandò in Egitto una persona di sua fiducia e non un magistrato».

Nel «secolo breve» i prefetti sono stati fondamentali.

«Non facciamola troppo facile. Nella storia del Novecento l’andamento è stato, diciamo così, sinuoso».

Esempi?

«Con Giovanni Giolitti il ruolo del prefetto era fondamentale in particolare nel Mezzogiorno. Un ruolo attivo. Anche troppo. I prefetti portavano i cittadini a votare. Nel senso fisico della parola: costringevano la gente a dare la propria preferenza al candidato governativo. E infatti erano sommamente invisi all’opposizione democratica e socialista. La celebre definizione del grande storico Gaetano Salvemini che dipingeva Giolitti come ‘ministro della malavita’ nasce proprio dall’uso spregiudicato che l’esecutivo faceva dei suoi rappresentanti prefettizi».

Col fascismo ecco Cesare Mori, il «prefetto di ferro».

«Certo. Ottenne risultati notevoli nella lotta alla mafia, pur con evidenti violazioni dei diritti umani. Una mafia, non dimentichiamolo, rimessa in gioco dagli alleati nel 1943 per liberare l’Italia. Durante il fascismo, comunque, la figura fu importante anche se doveva misurarsi con il podestà, cioè con colui che aveva sostituito il sindaco, anch’esso dotato di amplissimi poteri».

Ed eccoci all’Italia del dopoguerra.

«Personalità più che dignitose. Basti pensare all’azionista e poi socialista Riccardo Lombardi a Milano. La sinistra peraltro non li amava, considerandoli un classico retaggio del passato. Tanto che voleva eliminarli trovando sponde nella popolazione italiana. Ma siccome da noi non si butta via mai nulla – abbiamo abolito le province? esistono ancora… – rimase, pur con meno importanza di prima».

Oggi tornano di moda.

«Grazie. Ma ci rendiamo conto di come è ridotta la politica? Tutto nasce dalla fine del proporzionale, da questo imbroglio della ‘società civile’. Che impone di andare a trovare uno che piaccia a destra come a sinistra. Prima c’erano stati dignitosi commissari prefettizi».

Ma lei lo abolirebbe?

«No, per carità! Non certo in questa difficilissima fase della nostra vita politica. Se non ci fossero nemmeno loro, che faremmo? Un bell’autogoverno fuori tempo? Via…».

A Roma forza Tronca, dunque?

«Oltre le battute: bisogna che i partiti tornino a fare il loro mestiere. E bisogna smetterla con i tribuni alla Luigi De Magistris. Poi, parleremo dei prefetti. Chiaro?».

bari canfora fascismo Ghidetti giolitti lombardi mori università