LA SALA vacilla. «Ahi…», mormora un super-renziano. «Eccolo», sussurra uno della Ditta (i seguaci di Pier Luigi Bersani). «Lui», Massimo D’Alema, è arrivato. E, per un momento, un sentimento misto di speranzosa paura e «chissà che macello!» abbraccia la platea della Direzione Pd. Ma poi tutto si «ghiaccia» (espressione di un toscanissimo dem) e la discussione prosegue. Sostanzialmente l’attacco (se così, un po’ ottimisticamente, si può chiamare) della minoranza o sinistra che dir si voglia, si concentra su tre punti: il doppio incarico di Matteo Renzi (segretario/premier), la forma-partito (della serie: o ricominciamo a battere il territorio villaggio in villaggio oppure ce ne andiamo tutti a casa) e, soprattutto, il referendum. Roberto Speranza presenta un ordine del giorno che, al netto del politichese, dice: il fronte del No deve avere piena cittadinanza nel partito. Insomma, la Ditta è orientata a contrastare le riforme istituzionali dell’ex primo cittadino di Firenze.

SI LEGGE nel documento: «La direzione nazionale del Pd, preso atto dell’orientamento maggioritario a favore del Sì (…) s’impegna a offrire piena cittadinanza nel Pd anche a chi sostiene le ragioni del No nel pieno rispetto della libertà di orientamento personale in materia costituzionale». Chiarissimo. Il problema è che, messo in votazione, ottiene 8 (otto) voti. Pochini. Anche perché – ma qui i calcoli divergono – la minoranza del partito dovrebbe contare su una pattuglia di circa 30 persone. Il più duro nella sua reprimenda antirenziana è l’ex dalemiano Gianni Cuperlo. Asciutto, sempre molto signorile nello stile, eppur sempre un po’ ingessato, occhialini sul naso, non usa mezzi termini e dichiara esplicitamente il suo «no» al doppio incarico. L’attacco a «Matteo» è diretto: «È suonato l’allarme, l’ultimo. Oggi tu sei visto come un avversario da una parte della destra, ed è bene così, ma anche da una parte della sinistra. Senza una svolta, tu condurrai la sinistra italiana a una sconfitta storica». Con stilettata velenosa: «Adesso io ti dico: esci tu dal talent di un’Italia patinata e scopri la modestia che non è nel tono della voce». Citazione del Renzi che invitò Grillo a uscire dal blog.

DECISAMENTE pessimista Speranza. L’eloquio è tranquillo, quasi timido, la sostanza meno: «Sono entrato in questa stanza preoccupato per l’esito delle elezioni amministrative e per il nostro dibattito interno e la relazione aumenta le mie preoccupazioni». E ancora: «C’è la quantità ma anche la qualità della sconfitta che abbiamo subito e che è allucinante» (ultimo aggettivo sillabato).
E ci si mette pure Fabrizio Barca. Non ascrivibile a correnti particolari, è però uomo di peso. E, più che altro, è furibondo con Renzi: «La relazione di Renzi e lo svolgimento della discussione mostrano che non esiste la volontà di avviare quelle revisioni dell’organizzazione del partito che ben prima delle ultime vicende elettorali, nell’autunno del 2014, avevano indotto alla costituzione di una Commissione di cui ero stato chiamato a fare parte. Mi dimetto pertanto pubblicamente dalla suddetta Commissione, che ha rivelato la sua assoluta inutilità».

IL SIPARIO si chiude. «Però D’Alema non ha parlato», scuote sconsolato la testa uno dei componenti della Direzione. «Peccato, avrei voluto vedere i fuochi d’artificio», esagera un altro. Insomma, lo spettacolo deve continuare. Meglio: dovrebbe. Ma la minoranza non sembra in grado di lanciare un guanto di sfida in grado di fare male, male davvero. Però, il D’Alema così spesso evocato oggi parlerà a Roma. A un convegno. «Chissà, magari potrebbe dire qualcosa», risospira, speranzoso, il deputato di cui sopra…