NON È FACILE. Si rischiano figuracce. Magari anche il politico più freddo e cinico viene preso da tenerezza nei confronti dell’amico o dell’antico compagno di battaglie. Di certo, però, il tema delle dimissioni chieste ad alcuni e non ad altri tormenta da anni la politica italiana. C’è il fiume della retorica sempre in agguato: «decisioni sofferte»; «ho sentito la necessità di fare un passo indietro»; «per il bene del Paese»; magari col «Pd che fa quadrato» e «l’auspicio che la magistratura faccia il suo corso nel più breve tempo possibile». Fermo restando, e questo è il mantra renziano, che «non ci si dimette per un avviso di garanzia». Certo, anche su questo bisogna intendersi. Oggi il Matteo-premier afferma deciso: «Io ho anche un padre indagato a Genova. Se ragiono su avvisi di garanzia i miei figli non dovrebbero vedere il nonno. Ho cinque sottosegretari indagati, credo che un cittadino sia innocente fino a prova contraria. Mai chiederò dimissioni per un avviso di garanzia».

UN RAGIONAMENTO non nuovo. Anche se, ci sembra, declinato un po’ diverso. Ricordate il ministro Anna Maria Cancellieri? Era nella squadra del presidente Letta (Enrico) e fu accusata di essersi interessata alla sorte della figlia del suo amico Salvatore Ligresti. Polemiche feroci. Allora ‘Matteo’ era solo leader del Pd. E scandiva: «Non penso che il ministro Cancellieri dovrebbe dimettersi per un avviso di garanzia». Con aggiunta: «Non è un problema giudiziario. Peggio. È un problema politico». Dunque, deve dimettersi. Sapete perché? Perché, dotta citazione del quasi-premier, Talleyrand diceva: «È peggio di un crimine, è un errore». Inflessibile. «Doppiopesismo»? Giammai. Ancora Renzi: «Ho chiesto le dimissioni a Orsoni (sindaco di Venezia ndr) quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole. Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma (inchiesta su Mafia capitale ndr) nonostante il segretario locale fosse estraneo alle indagini». Sempre la politica su tutto, insomma. Nel caso di Francesca Barracciu andò così: l’europarlamentare sarda vinse le primarie dem per la poltrona di governatore della Sardegna. Ma un’indagine della procura cagliaritana le fece fare il famoso «passo indietro». Nell’attesa, la Barracciu (ottima conoscitrice della filosofia, del disagio giovanile e delle risorse umane, una carriera con tessere Pci, Pds, Ds e Pd) è stata nominata sottosegretario.

Ecco, sottosegretario. Parola delicatissima. Oltre alla Barracciu, risultano indagati Vito De Filippo (Pd), Umberto Del Basso De Caro (di cui la procura partenopea ha peraltro richiesto l’archiviazione), Davide Faraone, Giuseppe Castiglione. A loro non sono stati chiesti sacrifici «per il bene del Paese». E nemmeno per Vincenzo De Luca. Condannato per abuso d’ufficio, ha trionfato alle primarie Pd in Campania ed è diventato presidente della stessa regione pochi giorni orsono. Mentre per Vladimiro, ‘Mirello’ Crisafulli, leader dalemiano di Enna (unica provincia che vide Cuperlo trionfare alle primarie), Renzi fu chiarissimo nel novembre 2013, poco prima di diventare leader dem: «A Enna eletto Crisafulli segretario provinciale: la stessa commissione di garanzia lo aveva dichiarato impresentabile per liaison pericolose con un boss mafioso (ma ne è uscito senza macchia, ndr). Io, da segretario nazionale, sarò il primo a porre il problema». Problema posto, eppure Mirello ha stravinto le primarie Pd e ora è andato al ballottaggio per diventare sindaco della città siciliana.

DIVERSO il caso di Maurizio Lupi. Il responsabile delle Infrastrutture se ne andò. Renzi non glielo chiese. Lui lo fece lo stesso dopo una feroce campagna mediatica. Quasi nessuno lo difese. Tutti accolsero le sue dimissioni. Peccato non fosse nemmeno indagato. E così Nunzia De Girolamo, titolare delle Politiche agricole e cacciata dal governo Letta (presunte pressioni su nomine e appalti della sanità a Benevento): Renzi disse che Josefa Idem aveva tutt’altro stile perché se n’era andata subito dal governo Letta per presunte irregolarità nella gestione delle sue proprietà. Tanti casi. Ognuno diversamente percepito. Diciamo.