Pacatamente

PACATAMENTE. Senza «rissosità». Sono in 260. Intellettuali, scienziati, «uomini e donne di diverse generazioni». Un bel gruppetto. Firmano l’appello per votare «sì» alla riforma costituzionale fortissimamente voluta da Matteo Renzi. Ma, appunto, lo fanno «pacatamente». Una firma leggera, insomma. Delicata. DALL’ALTRA parte, invece, usano, oltre alla penna, anche un qual certo «gusto Novecento». I sostenitori […]

PACATAMENTE. Senza «rissosità». Sono in 260. Intellettuali, scienziati, «uomini e donne di diverse generazioni». Un bel gruppetto. Firmano l’appello per votare «sì» alla riforma costituzionale fortissimamente voluta da Matteo Renzi. Ma, appunto, lo fanno «pacatamente». Una firma leggera, insomma. Delicata.

DALL’ALTRA parte, invece, usano, oltre alla penna, anche un qual certo «gusto Novecento». I sostenitori del Sì vanno in tv e cinguettano su twitter? Loro, no. Piazze e banchetti. Come si faceva una volta. Ma il vero oggetto del contendere, anche in questi giorni di thrilling pre-elettorale, è l’icona più icona che non si può della sinistra. Lui, Roberto Benigni. Pare che il Nobel Dario Fo abbia sbarrato gli occhi ancor più che nelle sue performance: «Ma come?! Roberto sta con Matteo?!». Roberto. Che prese in braccio Enrico Berlinguer il 17 giugno 1983, al Pincio, festa della Fgci. Immagini lontane, eppure, frase abusata eppur sempre efficace ed evocatrice, così presente nella coscienza collettiva della sinistra. Rivedi quelle immagini con quei colori un po’ così e intravedi il giovane Walter Veltroni che sorride (pacatamente), il compianto assessore alla Cultura Renato Nicolini, l’inventore dell’Estate romana. Ora, sui cosiddetti social, Benigni è vittima dei fotomontaggi: prende in braccio (toscanamente: «in collo») Renzi e, insulto degli insulti, Denis Verdini. Oppure il feroce «d’ora in poi ti chiameremo Johnny Lecchino», parafrasi della celebre pellicola Johnny Stecchino. Ancora: «È proprio vero, Roberto: Non ci resta che piangere». «Il tuo comandamento? Non avrai altro leader al di fuori di Renzi». Impietosi e (quasi) anonimi. In caso contrario, indignati: come nel caso della penna-brillante-per-eccellenza. Il conterraneo (di Benigni) Andrea Scanzi. Furibondo: «Siamo al satirico che si fa mesto turibolo (l’aggeggio dove si brucia l’incenso ndr) del Potere», ove la «P» maiuscola dà più solennità alla condanna. Anche perché lo stesso comico, agli inizi di maggio, era stato chiaro: voterò No. Ma, si sa, nella vita si cambia tutto (a parte la mamma e la squadra di calcio, dicono i bene informati) e quindi…

CHI, invece, non nuota nella corrente degli indignati è un giornalista di chiara fama: Enrico Mentana. Come suo costume, non la manda a dire: «Quelli che Benigni era un grande perché votava no e ora è un fallito e non fa più ridere perché voterà sì». Il direttore poi affonda: «Più che la Repubblica italiana sembra Mondo Convenienza». Ovviamente furibondi i grillini. E ti pareva. Scorrere il blog per avere conferma.

Nei due schieramenti spiccano nomi famosi. Scriveranno Sì Susanna Tamaro e Federico Moccia, scrittori tra i più venduti. Oppure l’onnipresente Paolo Crepet, psicanalista. Tanti storici: da Paolo Pezzino (che confutò con ragione nientepopodimeno che il grande Leonardo Sciascia) a Lucio Villari a Giuseppe Galasso al maggiore storico dell’italica lingua Luca Serianni.

E dall’altra parte? Comunisti libertari alla Giovanni Russo Spena (già Rifondazione Comunista, nel 1993 votò contro l’autorizzazione a procedere per il leader Psi Bettino Craxi), l’italianista Alberto Asor Rosa, l’ex giornalista Sandra Bonsanti.

E, ovvio, Dario Fo. Che continua a scuotere la testa: Benigni? «Penso stia tradendo se stesso. Non voglio nemmeno arrivare a immaginare perché lo abbia fatto».

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