Mi dimetto. In tivvù

«RASSEGNO le dimissioni». Parole forti, solenni, che provocano un horror vacui, un terrore del vuoto. «Vado al Quirinale a rassegnare le dimissioni». «Mi presenterò dimissionario alla Camera». Solennità di stanze lustrate e ordinate ove il Potere è davvero tale. Certo, bisogna stare attenti. E a un Francesco Crispi che si inchinava a Sua Maestà, oggi […]

«RASSEGNO le dimissioni». Parole forti, solenni, che provocano un horror vacui, un terrore del vuoto.

«Vado al Quirinale a rassegnare le dimissioni». «Mi presenterò dimissionario alla Camera». Solennità di stanze lustrate e ordinate ove il Potere è davvero tale. Certo, bisogna stare attenti. E a un Francesco Crispi che si inchinava a Sua Maestà, oggi si contrappone un Enrico Letta che lascia il Parlamento («ma non la politica», ci mancherebbe) inchinandosi a Fabio Fazio in «Che tempo che fa». Andrà, l’ex enfant prodige, a dirigere una «scuola di politiche» per giovani (e ci mancherebbe…). Fichissimo. La scuola è all’università di Parigi e poi c’è quel plurale: «Politiche». Come «culture». «Saperi». Davvero trendy. Epperò Letta il giovane lo ha dichiarato in tivvù invece che nelle aule parlamentari. Lui è un deputato, rende conto, secondo il dettato costituzionale, alla Nazione. Non al collegio elettorale o al partito. E quindi le dimissioni in diretta tv – in una giornata poi così difficile per Italia ed Europa causa la strage dei migranti – è apparsa a non pochi fuori posto.

Anche se, a essere sinceri, chi provocò più polemiche fu il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. Dovette andarsene – era metà marzo – per gli scandali delle Grandi Opere pur non essendo indagato. Il guaio? Lo ufficializzò in diretta tv, a ‘Porta a Porta’ (soprannominata la «terza Camera» per la sua importanza: ricordate il ‘contratto con gli italiani’ di Silvio Berlusconi dell’8 maggio 2001?) scatenando polemiche d’ogni genere. Il commento più gentile, fuori dai Palazzi, fu «annuncia dimissioni in tv e non in Parlamento. È lui che ‘sfiducia’ la Camera e non viceversa. Vergogna».

RESTA il fatto che, al netto dello scontro, il giorno dopo, quando effettivamente Lupi si dimise in sedi istituzionali, l’Aula era semivuota. I nostri onorevoli, insomma, già sapevano e in pochi seguirono l’autodifesa del responsabile dei Trasporti. Peraltro, che il tasto sia delicato lo si era capito già da qualche anno. Era il 2011. Il professor Mario Monti («sobrio», of course), a dicembre, doveva annunciare le misure che il Consiglio dei ministri aveva in mente di prendere per dare un colpo alla crisi e che doveva farlo nel salotto di Bruno Vespa.

Si scatenò un pandemonio. E Monti (sobriamente) andò difilato prima a Montecitorio, poi a Palazzo Madama e, infine, in via Teulada. Tante battute sferzanti. La più divertente quella di Osvaldo Napoli dell’allora Pdl: «Invito tutti i colleghi parlamentari a sintonizzarsi. Con un piccolo accorgimento si può anche evitare una lunga e noiosa discussione parlamentare: sarà sufficiente dotare ogni parlamentare di una macchinetta Auditel modificata: così, insieme allo share, potranno essere contati anche i voti dei parlamentari a favore e quelli contrari alla manovra».

Comportamenti irrituali, diciamo. Irritualissimo (e che fece infuriare Quirinale e Palazzo Chigi) fu quello del marchese Giulio Terzi di Sant’Agata il quale, tomo tomo cacchio cacchio, si dimise in diretta tv alla Camera da ministro degli Esteri. Il problema è che non aveva avvertito né Giorgio Napolitano né Monti. Il quale si mostrò meno sobrio quando apprese la per lui non lieta novella…

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