DIFFICILE non farsi prendere dalla diffidenza quando ti accorgi che il volume è una raccolta di articoli. Primo impulso: mettere mano alla pistola per evitare di sorbirti un’accozzaglia di pensieri sparsi, disuniti e lontani nel tempo. Ma, si sa, dovere del recensore di professione è non arrendersi. Mai. Atteggiamento che sovente premia, sino a far scomparire l’iniziale perplessità. E così è successo con l’ultima fatica, si sarebbe detto con prosa antica, di Emanuele Macaluso (“La politica che non c’è. Un anno di em.ma su Facebook”, editore la mitica Castelvecchi), protagonista della storia politica contemporanea, in particolare di quella della sinistra.
C’è un dato di fatto che immediatamente colpisce il lettore.

LEGGIAMOLO insieme: «Perché a novantadue anni continuo a scrivere un corsivo al giorno? E non più sulla carta stampata, ma in uno spazio ritagliatomi su Facebook? La risposta può essere breve o occupare molto spazio. In breve posso dire che se non scrivo, se non comunico quello che penso, per me è come morire».
Riflessione illuminante perché ci riporta a uno degli assiomi fondamentali della scrittura: si mescolano le parole, più o meno belle, più o meno meditate, per non morire. Concetto che vale per Macaluso, come per Alessandro Manzoni o per l’ultimo, sconosciuto, blogger dell’universo. Macaluso di scrittura se ne intende, mai avendola trascurata o considerata attività accessoria alla militanza politica: ha diretto giornali come l’“Unità”, il “Riformista” (felice meteora nel panorama editoriale italiano), ha scritto su “Rinascita” e su molti altri fogli. La sua sigla (“em.ma”) è, per chi si diletta ancora di cose politiche, un’icona, o, meglio ancora, un marchio di garanzia. Se poi a queste caratteristiche, sommariamente elencate, aggiungi una cura del libro di due intellettuali-giornalisti che di parole e di organizzazione editoriale se ne intendono come Peppe Provenzano e Sergio Sergi, il gioco è fatto.
Un filo (rosso…) attraversa queste belle pagine e i contenuti sono sapientemente miscelati. Impossibile anche solo elencarli tutti. Sottolineiamo il perno su cui ruota la riflessione del valoroso dirigente della sinistra: perché l’Italia e l’Europa sono avvelenate da ventate di antipolitica così imbarazzanti e paurose? Perché la politica stessa non riesce a trovare sufficienti vie d’uscita? Centrale, crediamo, uno dei temi su cui Macaluso più si è speso in questi anni: la nascita del Partito democratico, di quello che doveva essere «l’unione dei grandi riformismi» e che, invece, si è rivelato un guazzabuglio di storie incoerenti perennemente in lotta fra loro, con una maggioranza «del fare» e una minoranza che si stenta a capire, anche con tutta la buona volontà, dove voglia andare a parare.
Ci piace citare (si veda pagina 42) l’intervento del 23 gennaio 2015 dal titolo «Renzi fa il suo Pd, gli altri interviste» (l’Autore, sia detto per inciso, ha sempre avuto, e giustamente, fama di titolista corrosivo e perciò assai efficace): «Cuperlo (esponente della cosiddetta “sinistra dem”, ndr) in un’intervista ha chiarito che “Renzi guida un partito centrista che guarda a destra”. Appunto: non come la Dc di De Gasperi che guardava a sinistra. I Giovani Turchi (l’ex iperdalemiano Matteo Orfini e altri, ndr), invece, anche dopo il battesimo cristiano-renziano, sostengono che il Pd si trova a sinistra visto che ha aderito al Partito del socialismo europeo. Bersani, Cuperlo, Fassina, Civati e altri, testimoniano che “nel partito centrista che guarda a destra” esiste un’opposizione di sinistra. Ora, l’unico che non dice che cos’è il Pd è proprio Matteo Renzi anche perché, con i fatti, fa sapere a tutti che il Pd è Renzi stesso».
Graffio finale difficilmente contestabile: «Ovviamente, tutti gli altri ne sono consapevoli ma non sanno cosa fare e, ogni giorno, rilasciano interviste per ricordare che ci sono anche loro».

MOLTISSIMI altri potrebbero essere gli spunti offerti dal Nostro. Particolarmente interessanti quelli sulla giustizia (che non è tanto giusta…) e la mafia, combattuta da troppi con fiumi di parole spesso inadeguate o truffaldine. Non dimentichiamoci da dove viene Macaluso. Dalla Sicilia. La terra mai dimenticata e sempre amata. Anch’essa protagonista di quella che, efficacemente, Peppe Provenzano ravvisa essere la «preoccupazione più grande di Macaluso»: il sonno della politica. Che, implacabile, genera mostri tenuti in splendida forma da razzismi e banalizzazioni di genere vario