SARÀ BANALE, ma è verità acclarata. Si rimane male. Malissimo. Perché quando muore una persona – e Marco Pannella ci ha lasciati – muore una stagione della tua vita. Chi, infatti, non conosceva Giacinto Pannella, detto Marco? E non solo per i famosi digiuni o perché Giamburrasca di devastante energia. Ma soprattutto – la definizione è di donna Assunta Almirante – perché Marco era un artista. Magari potevano piacere solo alcune sue performances. Giulio Andreotti non aveva tutti i torti: «Anche quando graffia, non provoca rancori».
E dire che di graffi ne ha fatti parecchi. Non solo a preti di genere vario (fossero essi vaticani o asserviti a Mosca), ma anche a un certo qualunquismo piccolo borghese e ipocrita. Indro Montanelli: «È discolo e protervo. E dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato (toscanismo: ridurre a pezzetti, ndr) il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure in prateria. Ma, in caso di pericolo o carestia, lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e bufali selvaggi quali non ci sogneremo mai di catturare o domare».

PER QUESTO laureato in legge con 66 – «il voto più basso», amava ricordare ridendo fragorosamente – valeva il motto della vita vissuta al cento per cento. Fra battaglie impensabili per un’Italia stretta fra due Chiese fra loro in (apparente) lotta: la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Pannella amava giocare con le parole («per il diritto alla vita, per la vita del diritto») attirandosi gli elogi di Leonardo Sciascia come ci ricorda il suo miglior biografo, Valter Vecellio. E amava fare politica. Talmente la amava da beccarsi condanne, perdita dei diritti civili, galere più volte sfiorate (e tante volte visitate per denunciare le assurde condizioni dei detenuti), rischi enormi per la salute. Ma Marco sarà ricordato per una serie di cose che adesso sembrano (sembrano…) patrimonio di tutti, ma che, pochi decenni fa, erano patrimonio di un’Italia, la «Terza Italia» minoritaria e illuminata. La battaglia, condotta in compagnia dei socialisti di Loris Fortuna e dei liberali di Antonio Baslini, per il divorzio (1974). Oppure la lotta durissima per l’aborto, quando, di fatto, strappò migliaia e migliaia di donne dalla clandestinità di quei maledetti ferri da maglia usate dalle mammane. La voce altissima da spaccare i timpani per fermare lo sterminio della fame nel mondo. Il fattivo laboratorio etico e legislativo per i diritti degli omosessuali. L’attacco ai Paesi che ancora contemplavano la pena di morte o il deciso schierarsi a favore dell’eutanasia. Oppure, ancora, i polemicissimi scontri sulle tossicodipendenze e l’idea che il proibizionismo mai e poi mai avrebbe potuto portare a qualcosa di buono. Per non parlare del ‘caso Tortora’, quando il popolare presentatore tv fu accusato di essere un camorrista e poi assolto grazie alla battaglia radicale. Oppure della super-provocazione: eleggere alla Camera la pornostar Ilona Staller, ‘Cicciolina’.<EN>
Pannella amava molto la Francia. Alla fine degli anni Cinquanta aveva scritto per «Il Giorno» e, tra i suoi migliori amici, annoverava Jean-Paul Sartre. Il quale sceglieva spesso Roma come luogo di «vacanza perfetta» e palestra di chiacchierate con Pannella. I due mangiavano (e bevevano), parlando ore e ore. Marco amava moltissimo la birra e la pasta burro e parmigiano. Niente di trascendentale, diciamo. Ma sui gusti, si sa, è vietato sindacare. Lui, invece, sindacava, eccome se sindacava, in una sorta di pedagogia pannelliana, sull’essere radicali come stile di vita. Anno 1979: «Altro che Pci. Noi veniamo da lontano. Gli insulti della burocrazia comunista contro di me sono gli stessi che andavano a Carlo Rosselli, prima ancora che fosse ucciso». Né mancavano i riferimenti al pantheon della galassia radicale: «Vogliamo cominciare il cammino cominciato nel 1962, quando Elio Vittorini accettò di diventare il presidente del Partito radicale. C’è un unico filo nella nostra storia recente: il filo che collega Vittorini a Pasolini, Ernesto Rossi a Sciascia».
IL CARATTERE profondamente anticlericale, laicista, di costante attenzione a socialisti e repubblicani colloca Pannella in una corrente trasversale un po’ a tutti i partiti. Non dimentichiamoci che quel ragazzo così ‘troppo’ in tutto aveva provocato, a metà anni Cinquanta, l’uscita della sinistra dal Partito liberale del conservatorissimo Giovanni Malagodi. E a fondare, è il 1955, con Ernesto Rossi, Leo Valiani, Mario Pannunzio ed Eugenio Scalfari il Pr. Una regola su tutte: «Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente. Noi non ‘facciamo i politici’, i deputati, i leader… lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere». Chissà, se prima di lasciarci dopo aver fumato l’inverosimile, che cosa avrà pensato. Vogliamo immaginare «altra Italia sognai nella vita». Come scrisse Giuseppe Garibaldi. Che, correva il 1872, approvò il Patto di Roma. Vale a dire il primo programma organico del radicalismo italiano.