La strage impunita

POCHE chiacchiere. Se uno scrittore di quelli tosti, magari l’inventore del giallo all’italiana, si cimenta con la storia contemporanea il risultato è certo: avremo il piacere di leggere un bel libro. Ed è quello che è accaduto con ‘‘Noi che gridammo al vento’’ di Loriano Macchiavelli, noto indagatore di misteri. In questo caso, si può […]

POCHE chiacchiere. Se uno scrittore di quelli tosti, magari l’inventore del giallo all’italiana, si cimenta con la storia contemporanea il risultato è certo: avremo il piacere di leggere un bel libro. Ed è quello che è accaduto con ‘‘Noi che gridammo al vento’’ di Loriano Macchiavelli, noto indagatore di misteri. In questo caso, si può ragionevolmente affermare che la lezione sciasciana – vale a dire la capacità di essere sì scrittori ma scrittori squisitamente politici – è pienamente recepita (consciamente o meno).

Il Nostro indaga infatti sul primo dei misteri italiani, la strage di Portella della Ginestra. Quel maledetto primo maggio 1947 quando donne, uomini, bambini che mangiavano e ridevano, scherzavano e sventolavano bandiere per la festa dei lavoratori furono trucidati dalla banda di Salvatore Giuliano. Almeno ufficialmente. In realtà, si trattò della prova generale di quella costante della storia d’Italia che va sotto il nome di «strategia della tensione».

Ma guai a pensare a un romanzo incentrato su quell’orribile strage di innocenti e basta. In realtà, le 364 pagine sono un sapiente alternarsi di rimandi temporali. Tra gli anni Ottanta e il primissimo dopoguerra, tra le trame dei servizi cosiddetti deviati e la politica. Un affresco, dunque, tutto da leggere, utile per un bel ripasso di storia del presente e fondamentale per non perdere la memoria, malattia oggi endemica nel nostro Paese. In cui i carnefici diventano gli eroi e le vittime «se la sono cercata».

Molto importante è anche quella che potremmo definire ‘l’atmosfera’ delle pagine dello scrittore bolognese. Si respira davvero aria di Sicilia, i colori sfolgoranti e la luminosità del sole contrastano col nero dei complotti, con gli spioni, i mafiosi, l’umanità dolente e oppressa. Tanto che – senza voler suscitare scandalo – il lettore è attratto più che dalla trama (tanti personaggi, più o meno eterodiretti, che potrebbero, con documenti esplosivi, far vacillare lo Stato italiano) dall’atmosfera, da quello che una volta si sarebbe definito un inquietante gioco di specchi. La conferma, insomma, di quel che diceva un giovane scrittore nel 1787. Il suo nome era Johann Wolfgang von Goethe. E scrisse: «L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto».

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