Italiani. Dall’estero

A DIRE il vero, il premier non ha tutti i torti nel dire che tutta ’sta cagnara sulla lettera agli italiani all’estero è strumentale. Lo fecero anche Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani. Piuttosto, dovrebbe preoccuparsi per la cabala. Chi insiste sugli italiani all’estero non viene sempre baciato dalla fortuna. Ne sapeva qualcosa Mirko Tremaglia, […]

A DIRE il vero, il premier non ha tutti i torti nel dire che tutta ’sta cagnara sulla lettera agli italiani all’estero è strumentale. Lo fecero anche Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani. Piuttosto, dovrebbe preoccuparsi per la cabala. Chi insiste sugli italiani all’estero non viene sempre baciato dalla fortuna. Ne sapeva qualcosa Mirko Tremaglia, uomo di destra tosta, repubblichino mai pentito, eletto alla Camera dal 1972 al 2008 (Msi, An, Pdl), con Gianfranco Fini nella non felicissima avventura di Futuro e Libertà. Grazie alla sua caparbia volontà il diritto di voto per gli italiani all’estero divenne legge. Non trattenne le lacrime, Mirko. Ma poi, alle elezioni politiche del 2006, la sua lista conquistò un solo seggio sui 18 in palio e Prodi prese la maggioranza al Senato.

E DIRE che il voto degli italiani all’estero era sempre stato battaglia missina. Il primo a occuparsene fu Lando Ferretti nel 1955. Il che spiega la genesi della sconfitta. L’italiano fuori d’Italia ostentava il tricolore con orgoglio nazional-nazionalistico e guardava con occhio preoccupato a quell’Italia lontana col più forte partito comunista d’Occidente che parlava (orrore) di internazionalismo e con quei socialisti che declinavano il verbo occidentale all’europea e non all’americana. Insomma, erano di destra finché non cadde il Muro. Sia chiaro: le accuse a Tremaglia non erano giuste. Lui ci aveva messo il cuore, non era mosso (lo riconobbero tutti, Massimo D’Alema in primis) da calcoli. Fossimo in Renzi, dunque, staremmo attenti. Ma, al di là di una visione blandamente magica della politica, non vi è dubbio che questi nostri concittadini sian corteggiati assai. Il ministro Maria Elena Boschi è volata in America Latina a decantar le magnifiche sorti e progressive del Sì. Il supergrillino Luigi Di Maio a Londra. Il Di Maio che deve far dimenticare quando disse che «Renzi era come Pinochet in Venezuela» (il sanguinario boia era cileno). E poi, sempre a un eletto all’estero si deve la caduta del II governo Prodi: Luigi Pallaro. Ricchissimo (maggior fornitore al mondo di carni per una multinazionale), «gran figo» a detta di alcune militanti di Forza Italia, aveva un programma: «Chiunque vinca, io starò con l’esecutivo». Vinse Prodi e si schierò col Professore. Salvo mancare, gennaio 2008, alla votazione decisiva con conseguente fine del governo. Pallaro aveva una villa a Buenos Aires nel quartiere chic per eccellenza, il Palermo. Disse anche lui un Sì, un Sì per la Finanziaria. In cambio di 14 milioni di euro per gli italiani all’estero. «El senador» non si scompose: «Servivano per assistenza medica e pensionistica». Che ritentò l’avventura nel 2008. Trombato. Con sdegnosa denuncia di brogli. I brogli: altro caso spinoso. Un po’ per i curricula dei candidati (non sempre, diciamo, immacolati), un po’ perché il taroccamento è abbastanza semplice. A esempio, nel 2007, in Australia un video denunciò pacchi di schede pre-compilate a Sydney in occasione delle Politiche del 2006. E poi, è questione di pochi giorni fa, una lettera che Cristina Ravaglia, direttore generale per gli italiani all’estero, aveva scritto dopo le elezioni nel 2013, a Farnesina, Quirinale e Palazzo Chigi. Si sottolineava – riporta «Il Fatto» di Travaglio – che il voto per corrispondenza è soggetto a una «variabili e incertezze (affidamento a sistemi postali, furti, incette, pressioni, sostituzione del votante)» e «totalmente inadeguato, se non contrario ai principi costituzionali che sancisce che sia segreto e libero».

Un altro che diceva di pensare molto agli italiani nel mondo era Sergio De Gregorio. Eletto nella dipietrista IdV, si presentò così: «Valgo 250mila voti». Apperò. Il suo movimento, «Italiani nel mondo», voleva promuovere l’immagine del nostro Paese. Prima con l’ex pm, poi con l’allora Pdl. Sì, perché, Sergio lasciò Tonino e cominciò a girare dalle parti del Cavaliere. Con un cruccio corporeo: «Nemmeno la 58 mi va bene. Sono condannato al sarto».

E POI, ultimo ma non per ultimo, il mitico Antonio Razzi, eletto anch’egli con Di Pietro, operaio tessile, eletto nella circoscrizione Europa nel 2006. Passa poi con Silvio (ne salva il governo nel dicembre 2010) e ammette: «Quando sono stato eletto non volevo crederci. Mi chiamavano onorevole e pensai: vuoi vedere che questo mi piglia in giro?».

Un dato, al di là di tutto, però è significativo. L’Anagrafe degli italiani all’estero conta 4.341.156 nomi. Magari una letterina può servire. Verba volant etc.

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