NO, PER CARITÀ. Continuiamo a pensare che la politica sia la più nobile arte dell’uomo (assieme alla letteratura). Per carità, detestiamo il qualunquismo del «più pulito c’ha la rogna» riferito al nostro ceto politico. Eppure la storia delle dimissioni del ministro Maurizio Lupi non è altrimenti classificabile: è la classica sagra dell’ipocrisia. Con un responsabile di un delicatissimo dicastero che si dimette prima in tv e che poi («col volto scavato», raccontano) esalta la centralità del Parlamento il giorno dopo. Con una fiera delle banalità che fa venire i brividi: «Esco a testa alta guardandovi negli occhi» (pochi: a Montecitorio saranno stati presenti, a dir tanto, 90 onorevoli dall’aria annoiata…); «il tempo sarà galantuomo»; «ci rivedremo presto al lavoro» e via dicendo. Mancava solo un bel «chi fa da sé fa per tre» e tutto sarebbe tornato alla perfezione (magari con «la palla che si stampa sul palo» o «l’asfalto reso viscido dalla pioggia»). E poi, perdonateci. Anche il leader dell’Ncd Angelino Alfano che si fa «sorprendere» (e molto ci crediamo…) col foglietto «Lupi: onesto, concreto, sincero», quando è parso chiarissimo a tutti che aveva mollato il suo ministro ciellino sin dal primo minuto. Per non parlare della famiglia. I suoi valori. I suoi ideali. E il suo Rolex. Che barba, che noia.