Il vizietto

NO, siamo d’accordo. Come si possono anche solo azzardare certi paragoni? Tipo l’insulto sanguinoso («socialfascisti») diretto alla sinistra riformista poco convinta dell’abbraccio con Stalin (anni Trenta). Oppure le bastonate (non metaforiche) agli anarchici o ai trozkisti nella guerra civile spagnola. Eppure, l’antico vezzo di stordire chi, anche se di sinistra, la pensa diversamente, non è […]

NO, siamo d’accordo. Come si possono anche solo azzardare certi paragoni? Tipo l’insulto sanguinoso («socialfascisti») diretto alla sinistra riformista poco convinta dell’abbraccio con Stalin (anni Trenta). Oppure le bastonate (non metaforiche) agli anarchici o ai trozkisti nella guerra civile spagnola. Eppure, l’antico vezzo di stordire chi, anche se di sinistra, la pensa diversamente, non è morto. Seppure declinato in modi e maniere diversi. Esempio ultimo, Roberto Benigni. Per anni non sono bastate trombe (e tromboni) per dipingerlo come un’icona della gauche. Tutti ricorderete la «presa in collo» di Berlinguer al Pincio o le matte risate quando prendeva per i fondelli Silvio Berlusconi. Adesso anche lui è un «traditore» perché voterà Sì. E lo stesso Eugenio Scalfari non se la passa bene: ieri è stato bacchettato (con la consueta eleganza, per carità) da Valentino Parlato sul Manifesto. Il fondatore di Repubblica (da tanti ritenuto, chissà per quali misteriosi motivi, giornale di sinistra) è colpevole di aver evidenziato come, nel duello Renzi-Gustavo Zagrebelsky, il professore ne sia uscito sconfitto.

INSOMMA, se sei di sinistra e magari devii dalla retta via (peraltro percorsa da una minoranza agguerrita eppur sempre minoranza) ti spernacchiano rumorosamente. Ricordate Bettino Craxi, il primo presidente del Consiglio socialista nella storia d’Italia? Quando, nel 1984, decise di farla finita con la scala mobile, la mobilitazione dei comunisti fu davvero tosta. «Bettino come Bokassa», dissero i seguaci di Botteghe Oscure (Bokassa era il dittatore cannibale della Repubblica Centraficana). Il solitamente misurato Enrico Berlinguer non ebbe dubbi: «Ostinarsi a mantenere in piedi il decreto rasenta i limiti di un atto osceno in luogo pubblico» (ricevendone, peraltro, una sarcastica risposta da Claudio Martelli, allora braccio destro di Bettino: «Questo è un caso di neurocomunismo»). Per non parlare delle immagini del leader socialista come un moderno Mussolini. Resta che il Pci perse rovinosamente il referendum sulla scala mobile.

ANDANDO ancora più a ritroso, guai a chi, specie negli anni Cinquanta, osava mettere in discussione il verbo togliattiano. Esemplare il caso di Antonio Giolitti, indomito partigiano, deputato comunista, per niente persuaso dell’intervento dei compagni sovietici in Ungheria nel 1956. Talmente poco convinto che prese cappello, uscì dal Pci (in quell’anno lo fecero in molti) e passò coi socialisti. Un suo memoriale – in cui si chiedeva, in fondo, solo più vita democratica nel maggior partito comunista dell’Occidente – fu così bollato da Togliatti, come ci ricorda lo studioso Antonio Lenzi: «Espressione di ideologia borghese, banalità socialdemocratiche, errori nel metodo, frasi fatte, invettive». Tiè. Se non traditore, quantomeno uno che, avrebbero detto i nostri nonni, «meglio perderlo che trovarlo».

Del resto, si sa, la penna ferisce più di una spada. Se poi la penna è Paolo Nori, scrittore emiliano di chiara fama, di sinistra (di ultrasinistra), può anche venire giù il mondo. Osa scrivere per «Libero», lui che invece ha sempre vergato le sue (più o meno convincenti) prose su giornali di sinistra. E poco importa se leggi le sue righe su un giornale di destra-destra non trovi grandi differenze rispetto a quelle scritte su fogli di sinistra. Troppo facile poi l’esempio di Giampaolo Pansa. Il suo revisionismo può non piacere, ma se esterna quel che ha sempre pensato sulla Resistenza gli si può financo togliere il saluto.

Ciò detto, il paradosso è in agguato. Chi è il leader più in vista del fronte del No? Massimo D’Alema. Uno che di politica ne ha fatta tanta. (E pure bene.) E da quando D’Alema, al di là del carattere non facile, ha cominciato a essere, secondo la vulgata, all’origine di tutti i mali della sinistra? Nel 1997. Il leader si mise in testa di fare dell’Italia un «Paese normale», cioè di riscrivere le regole le costituzionali con l’avversario (Berlusconi). Per D’Alema le scomuniche furono terribili. Così terribili che ancor’oggi viene spesso appellato col dispregiativo «quello della Bicamerale». Manco fosse un bandito.

INSOMMA, traditori e, diciamola tutta, ingrati. Come canta il menestrello napoletano per eccellenza: Edoardo Bennato. Ricordate? «Gli impresari di partito/mi hanno fatto un altro invito/e hanno detto che finisce male/se non vado pure io/al raduno generale/della grande festa nazionale!/hanno detto che non posso/rifiutarmi proprio adesso/che anche a loro devo il mio successo».

Correva il 1980. Il brano era «Sono solo canzonette».

Appunto, canzonette ripetute. Sentite e risentite. Un po’ troppo.

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