ORA IL PD scopre in Giovanni Berlinguer – morto a 90 anni – «un protagonista assoluto». Dimenticando che lui, il medico-politico mite e combattivo, fratello di Enrico, di quel Pd non ne aveva voluto sapere. La celeberrima «fusione a freddo» del 2007 (organi dirigenti Ds-organi dirigenti Margherita) lo aveva convinto, a torto o a ragione, che la storia della sinistra italiana avrebbe imboccato strade impervie. Aderì a Sinistra democratica di Fabio Mussi. Senza rancori postumi.
C’È CHI lo ricorda in jeans e scarpe da tennis, era il settembre 1984, attraversare l’immensa festa dell’Unità a Roma. Enrico l’aveva voluta nella Capitale. E lui, Giovanni, era stato uno dei king maker. Impresa non facile. L’icona del comunismo italiano era morta a Padova da pochissimi mesi, il Pci aveva effettuato lo storico sorpasso, l’astro di Bettino Craxi faceva esplodere le contraddizioni nella sinistra, la retorica era quindi più che un rischio. E invece questo medico interessato come pochi al sociale e divoratore instancabile di letteratura contemporanea, organizzò quattro dibattiti (rinnovamento della politica, questione morale, austerità, donne) senza dare nemmeno un po’ di spazio alla nostalgia. Poi, l’incontro con Vittorio Merloni. Gli chiese: «Quanto spenderebbe di manodopera se a organizzare fosse lei?». Risposta: «Circa 500 milioni (di lire, ndr) al giorno». E Berlinguer scandì, ridendo e stringendo la mano all’ex leader di Confindustria: «Ecco, qui li risparmiamo ogni giorno grazie alle 4mila persone che lavorano gratis come noi», racconta Chiara Valentini. Certo (e basta leggere il saggio di Anna Tonelli Falce e tortello per capirlo) eran tempi diversi. Come diverso era lui. Parlamentare dal 1972, nel 1991 scrisse un’asciutta lettera al leader Achille Occhetto per rifiutare ulteriori candidature: «Nessuno, in verità, mi ha mai spiegato in modo convincente perché si debba essere parlamentari per così lungo tempo».
IL SUO INDOMABILE spirito critico lo dimostrò a 77 anni. Congresso Ds, 2001. Si presentò come candidato del Correntone (la sinistra Ds) e ottenne – sostenuto da Mussi, Sergio Cofferati, Pietro Folena e pochi altri – il 34,1% contro ‘super-Fassino’ che vinse col 61,8. Ma anche prima non l’aveva mandata a dire. Come sulla droga nel 1979: «L’azione di repressione e vigilanza si concentri sul traffico dell’eroina anziché sui vasi da fiori, giardinetti e orticelli di canapa indiana». O come nei primi anni Ottanta, quando si batté perché il Pci abbandonasse le Unità sanitarie locali. Per non parlare di quel 1977, quando, su Rinascita (settimanale del Pci) accusò il Partito – guidato dal fratello… – di avere sempre meno operai ai vertici. O quando, ancora, si schierò per l’elezione di Cossiga al Quirinale. Era suo cugino, vero. Ma, a suo dire, «mai era stato uomo di potere». Del resto, il suo ‘credo’ era stato chiaro sin dall’inizio. «Da noi non c’è stato il calvinismo. Per questo dobbiamo dire sì alla responsabilità collettiva».
Domani, alle 10, i funerali alla Sapienza di Roma dove insegnò per anni Medicina sociale.