«CHE SPAGHETTARO. Che scarso senso del denaro. Che inno alla gioia continuo…». Incerto fra il sorriso e le lacrime, una sorta di dolce nostalgia del ricordo attanaglia Aldo De Virgiliis, il commercialista che si occupava di Marco Pannella. Proprio così, gestiva le proprietà di Marco e della sorella Liliana. Il leone radicale, infatti, aveva ereditato con la sorella dal padre sei negozi a Riccione: «Tremendo. Quando voleva metter su una delle sue celebri campagne, mi chiamava e mi diceva: ‘Aldo, vendi una delle mie proprietà di Riccione’».
Da quanto vi conoscevate?
«Da sempre. Entrambi abruzzesi di Teramo. La mia mamma era molto amica della sua, un’affascinante donna francese. Lui aveva nove anni più di me. Mi trasferii a Bologna nel 1958. E curai i suoi, mi viene da ridere a chiamarli così, interessi…».
Cioè aveva scarso senso degli affari?
«Scarso!? Direi nullo!».
Uno stile di vita francescano: si può dire?
«Si deve dire. Basti pensare alla casa di via della Panetteria a Roma. Senza ascensore. Con soffitti bassi. Lui, che era alto, si doveva piegare…».
Oltre che amico ne condivideva le idee?
«Certo! Sono sempre stato vicino al Partito radicale».
Quando vi siete visti?
«L’8 gennaio a Roma. Andammo a mangiare e…».
Pannella amava molto la pasta burro e parmigiano.
«Diciamo che Marco era uno spaghettaro impenitente. Sì, amava più gli spaghetti che le penne».
Però, quando faceva i digiuni…
«Li rispettava anche se, ogni tanto, spizzicava qualche boccone dal mio piatto. Io ridevo. ‘Marco, ma non stai digiunando?’. E lui, sorridendo, mi rispondeva: ‘Quando faccio lo sciopero della fame e non il digiuno mi amministro come voglio’».
E poi, tutte quelle sigarette…
«Mamma mia! E, proprio al ristorante, potevano sorgere dei problemi. Ma lui fumava e scherzava. ‘Aldo – mi diceva – io pro-fumo, pro-fumo!!!’. Sì, siamo stati davvero bene assieme».
Però quelle proprietà a Riccione.
«Anche in quel caso era un osso duro. Un testone. Lui avrebbe venduto subito. Io invece cercavo di oppormi perché rischiava di dilapidare tutto. E poi, sia chiaro: non aveva una lira. E quando le aveva, le spendeva tutte per la politica».
Se diceva di vendere un negozio lei che cosa faceva?
«Resistevo quanto più potevo. Poi, quando perdeva la pazienza, obbedivo. Cercando sempre di fargli avere più soldi possibili».
Ma non riusciva mai a convincerlo del contrario?
«Diciamo che riuscivo a fare un po’ di melina. Riuscivo a procrastinare. Riuscivo in parte a fargli capire che non era un’idea particolarmente fruttifera vendere così, di corsa. Anche perché pensavo al suo futuro».
La gente lo fermava per la strada.
«Di continuo. Sorrideva e parlava con tutti, specie coi giovani».
Non lo vide mai amareggiato?
«No, non direi. Però mi ricordo che sulla questione del senatore a vita gli era sceso un velo di malinconia. Anche se diceva che non gliene importava nulla».
E ora?
«Me lo immagino ancora con la sua bisaccia. Piena di libri. Un vero uomo. Di grande cultura e umanità».