«ARTRO che sapore de sale, io sento puzza de bbruciato». Questa romanissima battuta di un romanissimo blogger è il commento perfetto. Perfidamente sarcastico. Perfido come perfide sono le invettive dei ‘pentastellati’. Che, per l’ennesima volta, restano senza bussola. Eh sì, perché il miliardario che fa(ceva) ridere l’Italia, Beppe Grillo, stavolta ha lasciato basiti in molti. Impenitente fustigatore di costumi. Severissimo censore ed epurator senza se e senza ma. Capo indiscusso di una banda che urla, sbraita, va in autobus, dichiara anche quanti caffè ha consumato nei pressi dei Palazzi esibendo orgogliosa gli scontrini. Urlatore forsennato. Insomma, questo simbolo di questi tempi grami per la politica che fa? Si perde dietro a una questione familiare.

VERO, lo ammette: sono amico di Gino Paoli. Epperò, proprio questa amicizia d’antica data avrebbe richiesto una cifra stilistica diversa. Diciamo anche che «stile» è parola sovente assente dalla vita dei grillini, usi a obbedir urlando. Diciamo che tutti siamo essere umani con le loro debolezze. Però, difendere una delle icone pop della nostra canzone inquisito per evasione fiscale non convince. Sa tanto di familismo. E anche la telefonata di scuse perché i suoi avevano chiesto le dimissioni dalla presidenza della Siae (una che di tasse se ne intende…) sa di appiccicaticcio. Come di retorico sanno di quelle frasi sentite e risentite: «Gioco al massacro… vittime sacrificali… mostri da sbattere in prima pagina». Che barba. Che noia.

Ma, cerca che ti ricerca, si scopre che tutto il Movimento ha un rapporto conflittuale con la parola ‘fisco’. Una volta difendendo il commerciante che, sfinito, decide di non dare più una lira allo Stato. L’altra dichiarandosi sostenitore del cosiddetto whistleblowing (termine intraducibile: di fatto, prevede incentivi per chi denuncia illeciti). L’altra ancora respingendo con sdegno le insinuazioni di chi sostiene che il loro Beppe prendeva soldi in nero nelle sue esibizioni da comico. Insomma, essere forcaioli col motto (e anche qui usiamo la lingua di Giuseppe Gioachino Belli) «er più pulito c’ha la rogna» può anche avere una sua efficacia, ma farlo a fasi alterne è esiziale. All’indignazione perenne potrebbe subentrare un prosaico: «Beppe, ma chi pensi de’ pija’ per…?».