Direzione incerta

DOVEVA essere l’occasione per riconciliare gli animi. Sia da parte dei sostenitori del Sì al referendum, sia da parte dei fans del No. E invece sarà la certificazione della rottura. Appuntamento alle 17, Largo del Nazareno, sede nazionale del Partito democratico. Il leader della minoranza, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, interverrà e dirà come e […]

DOVEVA essere l’occasione per riconciliare gli animi. Sia da parte dei sostenitori del Sì al referendum, sia da parte dei fans del No. E invece sarà la certificazione della rottura. Appuntamento alle 17, Largo del Nazareno, sede nazionale del Partito democratico. Il leader della minoranza, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, interverrà e dirà come e perché i suoi voteranno No. Lo stesso farà Roberto Speranza, altra colonna degli antirenziani. E un insolitamente duro Gianni Cuperlo, terzo esponente della sinistra interna. Sostengono i più che Renzi sia furibondo e per l’intervista di Bersani al Corsera (dove «Pier Luigi» attacca a testa bassa la gestione del governo e del partito) e per come è stata gestita la vicenda romana. Con Ignazio Marino che può dare qualche piccola ma fastidiosa sofferenza.

GIÀ, Marino. L’ex sindaco di Roma (non iscritto quest’anno al Pd) è esempio lampante di come per Renzi i problemi si allarghino oltre il recinto del Partito. Anche il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari è tentato di votare No. Così come Cesare Romiti. Così come il popolare governatore della Puglia Michele Emiliano. Così come alcuni ‘poteri forti’ nei giorni scorsi (vedi il Financial Times) sono critici assai con la riforma.

Comunque, il frontale vero è con la minoranza. Ovvio: spunta l’ipotesi scissione. Un antico dirigente («ma non faccia il mio nome e non dica che sono dalemiano») scandisce: «Scissione? Come fai a scinderti da una cosa che non c’è?». In chiaro, Speranza chiarisce come il Pd sia il suo partito senza se e senza ma. Resta il fatto che i margini di dialogo sono stretti. Uno dei più ascoltati dal premier, il sottosegretario Sandro Gozi, sospira: «Il referendum riguarda l’Italia. È un grave torto agli italiani prenderlo in ostaggio per anticipare il congresso del Pd». Non ci sta l’esponente della minoranza Nico Stumpo: «Se è vero, ed è vero, che viene prima l’Italia e non il Pd sulla riforma costituzionale, a nessuno venga in mente di richiamare l’unità del partito. Perché prima vengono gli interessi del Paese e la qualità della democrazia e poi, semmai, l’unità del partito». Schermaglie? No, c’è qualcosa di più. «Aspro» è l’aggettivo più usato per definire il clima di oggi in Direzione. «Mah – chiosa (malizioso?) Stumpo – dipende da chi parlerà per primo…». Il veneziano Davide Zoggia, tipo tosto che affianca Speranza, annota sconsolato: «La nostra non è una posizione strumentale. Sino alla fine abbiamo proposto un cambio della legge elettorale. Gli spazi c’erano, il premier vuole invece aspettare il 4 dicembre». E nell’attesa potrebbe dare al suo braccio destro Lorenzo Guerini, ai capigruppo di Camera e Senato Ettore Rosato e Luigi Zanda l’incarico di ‘esplorare’ con le altre forze politiche in Parlamento eventuali margini di manovra.

IL RISCHIO paventato è per i toni, forse al limite dell’insulto. «Renzi – ragiona un bersaniano ‘soft’ – è sicuro di averci perso. Per i Sì si rivolge alla destra…». E la parola «scissione»? Smentita: «Guardate che figura hanno fatto Fassina e D’Attorre: diretti da Sel…». Con una novità: i bersaniani ragionano in un’ottica squisitamente congressuale. Mentre, ma lui non vuol sentirselo dire, capace di fulminarti in tre nanosecondi, chi potrebbe prendere cappello sono Massimo D’Alema e i suoi. Di certo, è battaglia soda. Anche se c’è chi non demorde, come il governatore toscano Enrico Rossi. Il suo è un Sì critico pur essendo pronto a candidarsi contro Renzi per la segreteria: «Matteo, discuti con i compagni del No o distruggerai il Pd». Esortazione che cadrà nel vuoto a detta dei più. Anche se c’è chi consiglia così l’ex sindaco di Firenze: non cadere nella trappola del rimpallo delle responsabilità. Un ping pong preannunciato dalle parole serali di Bersani: «Solita ipocrisia di chi fa finta di non capire. Con l’elezione diretta dei senatori e un radicale cambiamento dell’Italicum, con tutti i suoi limiti, la riforma costituzionale sarebbe potabile. Con la nomina dei senatori e dei deputati e con la democrazia del capo, la riforma è indigeribile. Da sempre, e in tutti i passaggi, questa è stata la mia posizione. Il resto sono chiacchiere o propaganda».