D’Alema il gruppettaro

IN QUELLA che una volta si sarebbe definita la «suggestiva cornice di piazza dei Cavalieri a Pisa», è andata in scena la rappresentazione dalemiana sulle riforme elettorali. Sala piena come un uovo e platea che pendeva dalle labbra dell’ex premier. Della serie: Massimo, ti preghiamo, dacci, se non la linea, una linea. D’Alema ha parlato. Ha […]

IN QUELLA che una volta si sarebbe definita la «suggestiva cornice di piazza dei Cavalieri a Pisa», è andata in scena la rappresentazione dalemiana sulle riforme elettorali. Sala piena come un uovo e platea che pendeva dalle labbra dell’ex premier. Della serie: Massimo, ti preghiamo, dacci, se non la linea, una linea. D’Alema ha parlato. Ha detto che un «futurismo giovanilistico» ha pervaso il Pd. Ha detto che il Pd ha perso valanghe di iscritti e militanti. Ha detto che con l’Italicum si è fatta un’operazione non molto bella, diciamo. Ha detto che lui avrebbe votato la fiducia. Ha sottolineato come sia folle anche solo un’idea di scissione. Ha puntualizzato che fondare un altro partito è inutile. Ha detto che è dispiaciuto da chi va via (come Civati), ma ha anche aggiunto che è molto preoccupato per chi arriva. Insomma, ha detto. Ma non ha indicato alcuna via d’uscita. Il politico togliattiano che meglio sembrava rappresentare l’uomo-partito, si è sciolto in un movimentista protestatario. Mai avremmo immaginato di vedere un uomo politico come lui diventare «gruppettaro».

O tempora, o mores